Tre anni fa un terribile terremoto sconvolse il Giappone causando 18mila vittime, di cui oltre 2mila risultano ancora disperse, oltre al disastro ambientale della centrale nucleare di Fukushima. Ad oggi sono 267mila, le persone che vivono in rifugi temporanei, mentre il premier Shinzo Abe, ha promesso una nuova autostrada per accelerare la ricostruzione a Fukushima, ma la ricostruzione è lenta anche per i laboriosi nipponici e la bonifica per il disastro nucleare ancora non inizia veramente, a causa del rimpallo di responsabilità tra Tokio, che spingerebbe per riattivare subito l’economia degli impianti nucleari, e il gestore dell’impianto, che dovrebbe intervenire sulla centrale. Abe, vorrebbe ospitare le Olimpiadi del 2020 nella capitale, ma i cittadini temono che la scelta possa dirottare finanziamenti e forza lavoro dalla ricostruzione. Toyo Ito, uno dei più importanti architetti al mondo s’è impegnato subito a favore delle zone colpite dal sisma, dallo tsunami e dal disastro nucleare, per incoraggiare le popolazioni a ritrovare uno spirito comunitario e d’aggregazione. Ospite della 13ma Biennale d’Architettura di Venezia, portò il suo progetto Home-for-All, studiato con forme emergenziali per accogliere i senza tetto, un luogo collettivo di riunione, pensato e condiviso con il fotografo Hatakeyama, con gli architetti Fujimoto, Inui e Hirata, e con il gruppo KISYN, con cui raccolse finanziamenti. Era importante per la gente riunirsi, comunicare e cercare il confronto, da lì, gli architetti ripartirono per il loro progetto d’aggregazione, cominciando a sentire direttamente dalle persone, i loro bisogni. Quando la prima Home-for-All è stata realizzata, la gente ci si è ritrovata ogni giorno, per parlare e stare insieme. Ito, ha lavorato anche al progetto di ricostruzione della città di Kamaishi, per la cui realizzazione ha cercato il più possibile di ascoltare le persone, inserendo le loro idee nel progetto, altrimenti, secondo Ito, sarebbe rimasto privo d’umanità, le attese delle persone si focalizzavano tutte sul mantenere intatto il senso d’aggregazione e di comunità. Avrebbero preferito vivere in quei centri d’emergenza a vita, piuttosto che andare in case provvisorie, dove non è previsto alcuno spazio comune dove la gente possa riunirsi, spiegavano. Esattamente quello che è accaduto nel Progetto case all’Aquila, rispetto alle tendopoli, dove al contrario, nonostante l’autoritarismo della Protezione civile, si viveva insieme, aggregati e con un forte spirito comunitario. Ma come vedremo, anche l’impegno di Ito si è infranto contro i limiti della politica e gli interessi alla ricostruzione.