02 Dic 22

Istituzioni culturali, cambierà la musica

Comincerei dalla riforma del nome, Fus, Fondo unico per lo spettacolo, che dovrà dare risalto alla sua natura di Fondo nazionale per le arti performative e lo spettacolo dal vivo, così il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, in audizione alle commissioni Cultura di Camera e Senato. Un’ora e mezza di intervento, lanciano le agenzie specializzate, spaziando dal Pnrr alla digitalizzazione fino alle detrazioni fiscali, dal rapporto pubblico-privato ai musei, dal sostegno alla filiera del libro fino al cinema, alle rievocazioni storiche, alle assunzioni al Ministero.

Sarebbe inoltre importante, per il ministro, rivedere i meccanismi normativi che riguardano l’iter di approvazione dei progetti e l’erogazione dei contributi. Occorre da un lato aumentare i controlli preventivi e successivi sull’effettivo utilizzo del Fus e, dall’altro, modificare i parametri in un’ottica premiante. Attualmente il Fus premia la quantità e non la qualità. Inoltre possiamo affermare che premia il passivo degli enti. L’ottica dovrebbe essere diametralmente opposta: più sei in grado di reperire fondi diversi da quelli pubblici e più la gestione è virtuosa, più deve essere premiata. Operatori del settore e importanti centri di ricerca, fra cui il prestigioso Istituto Bruno Leoni, affermano che l’erogazione dei fondi del Fus sia viziata da un’assegnazione impropria. Il problema non riguarda spesso la carenza di fondi, ma l’efficacia stessa del sistema nel quale si sono stratificate consuetudini discorsive, ha detto.

Nella Città della Cultura, L’Aquila, abbiamo diverse istituzioni che si nutrono del Fus. La maggior parte hanno fatto la storia del capoluogo di Regione, una storia importante che ha valicato anche le mura urbiche, altre, più piccole, hanno fatto il loro ingresso nella mangiatoia pubblica dopo il terremoto.

A più riprese e con il vantaggio, non da poco, di ricevere sul proprio conto e senza troppi sforzi, i fondi del post-sisma, quel famoso 4% dei fondi della ricostruzione destinato alla ripresa socio-culturale, queste istituzioni, nonostante i continui stimoli, pubblici e civici, non si sono mossi di una virgola, fossero cresciuti in rete, tra loro, con la capacità di attrarre altri investimenti pubblici e privati, e non solo sostegni statali e locali, avremmo oggi tirato un sospiro di sollievo, invece da oltre un decennio nel dopo sisma non si è registrata nessuna apertura alla città, alle nuove generazioni e a nuova occupazione con circuiti virtuosi attivati, utili e necessari a una rinascita. Sono sempre là, imbalsamati da decenni nella loro torre d’avorio, a parte qualche vivida eccezione, ad aspettare il sostegno del pubblico.

Questo 4%, peraltro, doveva servire proprio a mettere radici nei territori per crescere e guardare al futuro. A un certo punto della storia, s’impegnarono pure a reperire fondi privati, la verità è che si sono accomodati su quella che è diventata una rendita necessaria alla loro sopravvivenza, alimentata dalla convinzione che, essendo istituzioni storiche e linfa connettiva della città, hanno guadagnato il diritto, senza alcuna selezione pubblica, a macinare ripresa con i soldi dello Stato. E ci può pure stare, il diritto. Vorremmo però sapere, considerato che il Governo Meloni, e il ministro Sangiuliano, vorrebbero finalmente virare verso un’assegnazione virtuosa, quanto impegno, queste istituzioni e piccole associazioni, a proposito ci sarebbe da capire bene come hanno fatto ad arrivare a Roma, hanno investito nel fare rete e nell’attrarre finanziamenti e sponsor privati per le loro attività culturali e come queste segneranno la nostra crescita e rinascita futura.