Quando sto scattando, cerco di arrivare al momento in cui fondamentalmente non mi riconosco più. Spesso è proprio questo il punto.
Cindy Sherman, ha sempre meno bisogno del bello. Del forzatamente bello attraverso le manipolazioni che offrono i social, e nella Hauser & Wirth Gallery a New York, con l’ultima mostra ancora aperta per qualche giorno, ha preso di petto la vecchiaia e tutto quanto non si farebbe pur di apparire ciò che non siamo. Costruendo apparenze brutte, deformando la realtà, la sua realtà, il suo viso segnato dagli anni e virtualmente modificato dalle costruzioni finte che rappresentano il nostro tempo. E come sempre gioca con se stessa, trascinando lo sguardo di chi la osserva ai limiti della realtà.
Siamo tutti il prodotto di ciò che vogliamo proiettare nel mondo. Anche le persone che non dedicano tempo, o pensano di non farlo, a prepararsi per il mondo là fuori, credo che alla fine si siano modellate per tutta la vita per essere in un certo modo, per presentare un certo volto al mondo, dichiara Sherman.
A partire dall’inizio degli anni 2000, la fotografa ha utilizzato le tecnologie digitali per manipolare i suoi personaggi e nel 2017, l’artista ha iniziato a condividere i propri ritratti su Instagram modificati grazie alle app e ai filtri per l’alterazione del viso, trasformandosi ancora una volta in una varietà di personaggi.
I post, disorientanti e inquietanti agli occhi del pubblico, sono necessari per sottolineare l’evidenza della natura dissociativa dei social media rispetto alla realtà: Sherman si trasforma principalmente in donne agiate di mezza età al culmine del potere, ma soggette al declino fisico, si legge in un’interessante recensione. Nonostante l’abbigliamento faccia per loro da scudo protettivo, sono completamente esposte alla macchina fotografica e a chi le osserva da vicino. Cindy Sherman, esploratrice d’identità, è una figura di spicco nel revival contemporaneo della fotografia diretta e teatrale. I suoi lavori esplorano gli effetti pervasivi che le immagini dei mass media hanno sulla proiezione delle tipicità individuali. Esposte all’Hauser & Wirth di New York, le rappresentazioni di Sherman appaiono reminiscenti di un’atmosfera glossata e patinata, ma sono in realtà cariche di ansia, vulnerabilità e desiderio.
Nata nel 1954 a Glen Ridge, nel New Jersey, Cindy Sherman continua a indagare, come fa da oltre quarant’anni, l’enorme pluralità di temi legati alla rappresentazione e all’identità nell’era dei media contemporanei, nel cui magma infinito, rischia di perdersi irrimediabilmente la persona e la sua singolare specificità.