Quando Alessandra mi ha detto, Alè se vuoi scrivere qualcosa, anche sulla sinistra, anche a braccio, il mio pensiero è andato subito a tempi non troppo lontani quando le analisi del voto erano sì, arte retorica, ma non potevano non tener conto della realtà elettorale e della necessità di andare in profondità nel comprendere le ragioni di una sconfitta.
Era un’arte complessa che, anche quando i più abili e più spericolati la usavano per nascondere i propri errori, ti lasciava arricchito di elementi, valutazioni e riflessioni che magari a te erano sfuggite o non avevi per nulla preso in considerazione e ti sentivi anche un pò stupido.
Oggi evidentemente i tempi sono cambiati, le elezioni in Abruzzo le hanno vinte tutti, la linea è stata dettata da ognuno in poche parole in tv e rilanciata a testa bassa dal personale politico o dai fan da tastiera.
Tra gli elettori sconfitti invece aleggia il banale senso della sconfitta, perché gli elettori sono sinceri.
Non ci sono grandi festeggiamenti nemmeno per Marsilio, che è il manico di scopa da lui stesso evocato che avrebbe potuto vincere facilmente in Abruzzo e così è stato, ma che è vissuto da tanti elettori del centrodestra come un oggetto estraneo catapultato qui, nella nuova colonia della politica romana, da un residuo del vecchio Polo delle libertà. Le elezioni non le ha vinte il Cinquestelle, che rivendica di aver tenuto botta rispetto alle passate regionali, che, pur avendo in pochi mesi cambiato l’Italia, abolito la povertà e fatto partire il boom economico, incassa una pesante sconfitta. Tanto meno le elezioni le ha vinte il centrosinistra che già pregustava un facile ritorno alla vittoria vista la crisi del Cinquestelle e l’affluenza prevedibilmente bassa di un’elezione regionale. Ha perso 20 punti, e se l’affluenza fosse stata più alta, sarebbero stati molto di più, altro che crescita.
A discolpa di Legnini bisogna ricordare come ha fatto lui ieri sera, ma come forse avrebbe dovuto fare prima, che, oltre ai trend nazionali ha pesato il giudizio negativo sull’amministrazione uscente.
Ma se era così pesante perché s’è fatto finta di nulla? Perché si è ricandidato chiunque, perché non s’è fatta un minimo di autocritica? Veramente si pensava che agitare lo spauracchio di Salvini, accocchiare tante liste, imbarcando chiunque e spacciandolo per una ventata ulivista – ma senza popolo – potesse cambiare qualcosa? E perché ora non si fa un bilancio e, invece, si dice che si è vinto?
Ciliegina sulla torta, nel fare settemila liste, non si è tenuto conto della legge elettorale che premia le liste più forti, non le coalizioni sconfitte, regalando così due seggi al Movimento 5 Stelle.
Ma dovevo parlare della sinistra, ecco per farlo non posso che parlare del solo partito che può dire di aver vinto queste elezioni: si chiama Lega, è il più antico partito italiano, l’unico con una forma partito tradizionale e, checché se ne dica, questa sua vittoria non è solo dovuta all’appeal, alquanto discutibile per me, del suo leader, ma alla capacità di trasformare quell’appeal in una forza politica organizzata e radicata nel territorio.
Un partito, un rottame della storia e una gran perdita di tempo, secondo brillanti intellettuali e politici di centrosinistra, centrodestra e grillini, ha vinto le elezioni in Abruzzo e stravincerà le elezioni europee.
Un partito non è un fatto burocratico, è tale se innanzitutto chi ne fa parte e chi lo vota sente di appartenervi, e questo è ciò che contraddistingue la Lega da tutte le altre formazioni, in particolare dal Pd al quale del partito è rimasto solo l’impianto burocratico ma non ci crede più nessuno, è un contenitore di personale e professionisti della politica che tessono tele per far fuori il compagno di partito o di coalizione, che non credono al lavoro sul territorio dei propri militanti o dei propri circoli, salvo dargli una pacca sulle spalle, tanto poi le decisioni e i voti si fanno altrove.
La Lega, a differenza del Cinquestelle e delle sue fobie di controllo, ha creduto in chi credeva nella Lega, ha investito su chi lavora sul territorio, giovani o meno, notabili o meno e questa vittoria se la merita tutta, al di là di ogni altra considerazione. Non sappiamo se dietro questa forma ci sia una sostanza, né se questa sostanza vada molto oltre le farneticazioni mediatiche del proprio leader, ma tant’è, prendi, incassa e porta a casa cara sinistra, con un minimo di umiltà altro che siamo cresciuti.
Soprattutto apri le porte, basta tattiche e tattichine, circoli chiusi, se veramente credi in te stessa mettiti in gioco, saranno eletti altri, forse, ma meglio altri che nessuno. Fai sapere dove le persone possano venire a trovarti senza doversi rivestire e spendere 15 euro per l’aperitivo, dove possano venire a parlare della propria situazione o di quella del paese, o dell’Europa o del mondo e di qualsiasi altra cosa sentano il bisogno di discutere senza essere presi per dei rompicoglioni.
*di Alessio Ludovici