26 Gen 19

Biodiversità urbana, grazie cinghiale…

Memoria o memoriali, ma salviamo la biodiversità urbana.
Mi piace contribuire ogni tanto al blog di Alessandra, a volte però è davvero difficile trovare notizie degne di nota in città. Oggi ero veramente in preda alla sindrome della pagina bianca ma per fortuna all’Aquila è arrivato un personaggio abbastanza unico, che nonostante siano passati tanti anni dalle sue prime apparizioni continua a far parlare di sé, movimentando la giornata di questa piccola città della provincia appenninica. Sì, parlo proprio di lui, il cinghiale.
Lo ha trovato una mia vicina di casa giù a Borgo Rivera, lì portiamo – beh io raramente, la mia vicina è molto più puntuale e in gamba di me – i cani a passeggio da Fontesecco, lì, una volta, dagli anni 30 perché prima la macellazione avveniva in centro, c’era la sede del mattatoio e oggi, grazie a un intelligente lavoro di recupero di un pezzo di archeologia industriale, si trova il Munda, il Museo Nazionale d’Abruzzo.
Un lavoro intelligente non solo perché ha recuperato uno spazio per una nuova funzione ma perché ha salvaguardato il senso storico del luogo e con esso la sua storia, la memoria di un lavoro, durissimo, e di tante vite.
Una scelta non scontata se pensiamo a quello che succede nel resto del centro storico dove la ricostruzione, com’era e dov’era, avanza seppellendo quei segni di vita rimasti intatti da quel fatidico momento del 2009, senza riconsegnarcene la memoria e la testimonianza.
E’ una sensazione strana, ma so che non è solo mia, quella di chi da un lato dovrebbe essere contento del recupero architettonico dei centri storici e da un lato prova la malinconia di non riconoscerli più come suoi. E’ come se fossimo vissuti sospesi tra una vita e l’altra e oggi inaugurazione dopo inaugurazione ci rendessimo conto che quella di una volta semplicemente non c’è più.
In città si discute tanto della necessità di un monumento per il 6 aprile, un memoriale, probabilmente legittimo, ma che ne è della memoria vera, quella fino al 6 aprile? Mi riferisco alla memoria di una città di mestieri, a bottega o ambulanti, mani che lavoravano, che creavano.
Rimangono poche vie, degli Scardassieri, dei Ramai, degli Ortolani, dei Pittori anche dei Poeti testimonianze di alcuni di quei mestieri, ma in città, ancora al 5 aprile del 2009, era ben visibile quel brulicare di talenti, di barbieri e venditori, panettieri e arrotini, orologiai, falegnami e meccanici, di maestri e apprendisti che incontravamo a fine giornata in qualche locanda, taverna o trattoria del centro storico.
Quella è la nostra memoria, è la memoria orale che non si trova sui libri di storia, sono le storie di persone comuni che avremmo dovuto e potuto salvare facilmente con le tecnologie odierne, ma forse è troppo tardi. Ne abbiamo bisogno? No, certo, possiamo farne a meno, ma è della biodiversità che abbiamo bisogno.
Ne abbiamo bisogno anche noi esseri umani, non solo la natura.
Esisterebbe un buon vino se esistesse un solo tipo di vite? Ecco, a questo serve la biodiversità.
Per le comunità umane è la stessa cosa. E’ quindi la biodiversità antropica che dobbiamo recuperare, anche con i fondi a disposizione per il recupero socio economico del territorio. C’è un bando per gli incubatori di impresa in centro, ma l’incubatore c’è già, basta prendere uno dei nostri quarti e farne un laboratorio della memoria e dei mestieri, in cui vecchi artigiani e nuovi makers possano lavorare fianco a fianco, imparare l’uno dall’altro, raccontarsi la propria storia.
Ecco dunque, che dire, le cose non accadono mai per caso e anche quando un cinghiale passeggia alle 99 cannelle bisognerebbe imparare a trarne qualche lezione.

 

*di Alessio Ludovici