Da venerdì fino a stasera, dalle 19 alle 24, il centro storico racconterà il decennale con la luce. Un’installazione diffusa sulla ricostruzione, dove siamo, cos’è accaduto, come cambiamo giorno dopo giorno proposta dall’Ordine degli Architetti con il coordinamento di Giuseppe Cimmino.
Le luci rosse della zona rossa del Convitto nazionale, luci spesse che non cambiano, non evolvono, intrappolate in quella terribile notte e così in diversi scorci nei vicoli, dove dal buio rosso in uno scorcio su via Tre Marie, improvvisamente esplode la luce, il giorno, la vita che riprende a correre nel palazzo di fronte.
Luci che diventano viola al San Filippo, il teatro che recupera normalità ogni giorno di più, con i lavori a buon punto, senza sfuggire il noto Cavour a fianco, il localetto tra i più frequentati all’Aquila in quegli anni, quello degli aperitivi, degli incontri, della musica dal vivo, delle estati con il banco fuori, delle persone in giro a chiacchierare per i vicoli e le piazzette ad incontrarsi a scherzare a sedersi sulle scalette del San Filippo tra uno spettacolo e l’altro, con gli artisti che uscivano e le stagioni dello Zelig che iniziavano. Quel rosso cupo così immobile del Cavour di oggi, ad illuminare locandine sbiadite e pezzi di serate andate.
Poi la Torre Civica dominante, le facciate ed i portali di Ernesto e dell’Antica locanda e trattoria del Sole, l’esplosione di una luce accecante di una via Marrelli recuperata, i balconi della Carispaq, i lastroni bianchi, una città maestosa, la luce che cambia e che attraversa il verde, il celeste, raggiunge il bianco, un bianco mistico abbagliante, un bianco di resurrezione. Dall’antico passeggio dei Portici del liceo, da quel rosso asfissiante del Convitto, dove la vita scorreva viva veloce, con il bar Eden, l’antica sala da the con le anziane signore, le feste degli anni cinquanta e sessanta, i tavolini fuori, il palco, il piano bar dei tempi andati, la Laetitia con i prezzi da bagno degli anni trenta, il liceo, la Biblioteca, la vita di tutti noi e poi la morte. Cristallizzata lì.
Dove anche una piccola chiesa, la cella di San Bernardino e gli uffici della Camera di Commercio reclamano vita da dieci anni ormai.
Gli architetti per L’Aquila, per incontrare una città che potrebbe avere perfino un volto europeo se solo riuscissimo a vederla con un occhio nuovo ed innovato che s’ispira alle città europee e l’Ordine, in questo viaggio incredibile, ce la mostra nel dettaglio, dai portali ai balconi, i particolari ed il vecchio nome della locanda a ricordare che c’è una minuzia di architetture che pure è un vanto e che le piccole cose potrebbero diventare grandi se solo ci ragionassimo meglio a tavolino.
Seduti a tavolino ad immaginare spazi nuovi, lo spazio pubblico, l’aggregazione, la socialità ecco quindi che il giro si compie al Duomo, con l’ultimo passaggio sull’area vuota dell’ex palazzo Del Vecchio per ammirare la prospettiva delle tre facciate libere intorno che non vedremo più perché lì, probabilmente, risorgerà lo stesso palazzo forse più brutto di prima. Siamo in tempo per ragionare sullo spazio pubblico in maniera innovata? Anche per un’architettura di rottura, bella e dirompente per dire ai giovani architetti del mondo che L’Aquila è viva, che è una città dalle mille opportunità aperta ai nuovi progetti e alle nuove idee.
E case per attrarre la residenzialità ne abbiamo.
Grande disponibilità di tutti i cantieri, mi racconta Giuseppe Cimmino, voglia di partecipare e di esserci, il sindaco Biondi entusiasta tra le strade, ed un ragionamento sicuro, promesso alle persone che gli hanno chiesto se queste luci resteranno. Soldi del decennale sicuramente ben spesi, in un bellissimo progetto.