16 Set 21

Bretagna, antichi riti, calvari e pardons

La natura primordiale, gli sconvolgimenti della crosta terrestre e le glaciazioni hanno plasmato la Bretagna, che appare come un’appendice protesa nel Canale della Manica.
Al confine della Normandia, terra di vichinghi e della Loira, terra di castelli, conobbe il potere angioino, che in quelle vicinanze ebbe i natali, mentre la sua singolare posizione in terra di Francia, protesa verso l’Inghilterra, la trasformò in terra di contesa.

Abitata già in epoca precocissima, oggi è famosa per i suoi Menhir (quelli di Carnac sono più vecchi delle Piramidi), per la lingua celtica, i calvari bretoni (rappresentazione in pietra della propria religiosità), i costumi tradizionali, i cicli cavallereschi e financo i dolci.

Lo splendore dell’architettura urbana di Saint Malò, Concarneau o Quimper testimonia una ricchezza spesso conquistata dai pirati bretoni in scorrerie autorizzate dal Re di Francia.

Questo promontorio, abitato da gallo-celtici, i romani lo chiamavano Armorica e lo tennero fino alle immigrazioni di angli e sassoni del V secolo che anticiparono una penetrazione cristiana di monaci e santi.

Il Cristianesimo della Britannia lega la sua storia ai cosiddetti “sette santi fondatori”, trasmigrati dalla Gran Bretagna e portatori della religiosità legata al nome di San Patrizio: la Nova religio, innalzata su primitive discendenze sacre celtiche e romane, nella quale è arduo discernere ove finisce l’antico rito druidico e comincia lo spirito evangelico in un inestricabile sincretismo religioso ancora oggi palpabile.

Una terra di mare, coste e monti cosparsa di chiese e cappelle, a ricordarci la sua religiosità composta da severa trascendenza, ove lo spirito si trasforma in riti, luoghi sacri e processioni.

I segni più evidenti sono le innumerevoli croci celtiche sparse dappertutto e i calvari. Questi sono una sorta di rappresentazioni sceniche in pietra della Crocifissione, con tutti i personaggi citati dai Vangeli: scultura e trascendenza forse mutuate dai primitivi menhir, l’onnipresente raffigurazione della morte come ammonimento e richiamo ad una vita cristiana: una commistione tra simboli precristiani e fede cristiana.

Il richiamo della Britannia mosse l’apocalittico predicatore domenicano San Vincenzo Ferrer, che vi morì e fu sepolto a Vannes, dove ebbi modo di visitarlo anni or sono.

Tra le categorie segniche, in quella regione va annoverato il “pardon”, perdono, momento di religiosità collettiva a noi aquilani non ignoto e fortemente radicato nella storia della città attraverso la “Perdonanza”.

Il perdono indica un’indulgenza per la remissione dei peccati ed è una prerogativa papale, che può essere lucrata dai cristiani a certe condizioni.

Celestino V

L’indulgenza di Santa Maria di Collemaggio, nel giorno di San Giovanni Battista, fu opera di Celestino V con la bolla a tutti arcinota, mentre per noi è più lontana l’indulgenza plenaria di Assisi che fu specificatamente richiesta da San Francesco.

Diversi nella forma rituale sono i perdoni che si svolgono quasi in tutta la Bretagna: riti devozionali, messe, processioni, feste e canti. Famosissimo tra tutti è il “Grand Pardon de Notre-Dame de Kerdévot”.

Ogni perdono ha un suo luogo sacro: una chiesa, una cappella, una sorgente o una roccia, dove la processione in costumi tradizionali si reca dopo la messa per una richiesta intima di perdono o di grazia.

Si tratta di luoghi-simbolo, da tempi antichi legati alle comunità da un rapporto cultuale di remota origine, perfino precristiana, che raccontano feste per i raccolti, per la fertilità, per l’abbondanza delle acque in sorgenti anche a scopo battesimale.

In quei luoghi non c’è, come da noi nella Perdonanza, l’attraversamento della porta come allegoria del passaggio dal peccato alla salvezza individuale, ma uno snodarsi collettivo di uomini e donne che insieme, in processione, vanno ad loca.

In questi perdoni si intrecciano la religiosità e il folclore locale e vive la tradizione della comunità regionale che, ad occidente dell’Europa, è stata la culla del ciclo bretone di re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda.

La celebrazione dei pardons comincia nel mese di maggio per finire in ottobre; ogni parrocchia o chiesa ha una peculiare tradizione, propri costumi e stendardi.

Una giornata di preghiera anticipa la confessione e la messa e, a seguire, la processione accompagnata da canti, inni o rosari.
La processione è come il viaggio del pellegrino che a piedi si reca al santuario, un lungo percorso di fatica e di pericolo che veniva offerto al Signore o al santo, quale atto di fede, per la propria espiazione dei peccati o per la richiesta di una grazia.

Mentre all’Aquila la festa del Perdono nasce per contingenze storiche, politiche e religiose, in Bretagna nasce per successivi innesti di culti, culture, tradizioni e bisogni spirituali.

Le somiglianze tra le due tradizioni sono molte così come le differenze, ma varrebbe la pena approfondire i confronti e gli sviluppi a proposito delle necessità spirituali di popoli lontani e tuttavia contraddistinti da quella precarietà esistenziale in cui la natura li ha immersi.

 


*di Vladimiro Placidi