Col terremoto 2009, abbiamo avuto la certezza che il sottosuolo aquilano fosse pieno di cavità, cavità che avremmo voluto conoscere meglio. In uno studio di microzonazione sismica la Protezione civile parlò di bomba ad orologeria, richiamando l’attenzione sul fatto che le cavità avrebbero dovuto essere messe in sicurezza prima di ricostruire, anche per il passaggio continuo di mezzi pesanti che avrebbero potuto causare qualche cedimento e voragine, ma da un certo punto in poi cominciammo a pensare solo a fare presto, quindi la conoscenza dei sottosuoli precipitò in fondo alle priorità. Tutto com’era e dov’era, lasciando intatte le porcherie edilizie di decenni fa, quando comandava un’urbanistica senza regole.
In quegli anni costruirono ovunque, sulla faglia di Pettino, lungo il fosso di San Giuliano a scendere verso gallerie commerciali nate sull’acqua, sulla sabbia di via XX Settembre, dove s’è sbriciolata la Casa dello Studente e s’è aperta la voragine in via Campo di Fossa, hanno poi costruito direttamente sulle mura urbiche, dove alla Rivera spunta sulla strada pure una cucina di un privato, e su via Vicentini, dove tra gli scavi per ricostruire il civico 207, è emerso un leone in pietra d’epoca romana che presidiava l’antica Porta Barete, il primo varco d’accesso al centro storico trecentesco, presidiato dal leone, che faceva il paio con un altro, che non è stato ritrovato. Negli anni ottanta le tracce della Porta furono riempite di sabbia, su espressa indicazione delle Sovrintendenze, perché non si rovinassero, e con esse le mura sotterranee che agganciano i resti del vecchio ospizio di Santo Spirito, demolito sul selciato duecentesco per rifare, com’era e dov’era, una costruzione in cemento armato, quella di fronte al Tribunale.
L’Aquila avrebbe potuto mettere mano a tante schifezze urbane per eliminarle e invece no, il com’era e dov’era e senza conoscere il sottosuolo se non dai saggi dei privati che hanno ricostruito senza evidenze pubbliche certificate, che ancora mancano a 12 anni dal sisma, ed è agli atti della commissione garanzia e controllo di ieri. Risulta uno studio di microzonazione sismica per il centro storico e parte della zona est della città ma non per il resto del territorio, ha dichiarato l’assessore all’Urbanistica Daniele Ferella, dunque dovrà prima finire la microzonazione e poi metterà mano al Piano regolatore, uno strumento urbanistico del 1975, sopravvissuto perfino a un terremoto grazie alle continue varianti urbanistiche, votate di volta in volta in deroga dal Consiglio comunale, per consentire le demolizioni e ricostruzioni nei centri storici e ad oggi uno strumento nuovo ancora non c’è. Ferella ha detto che il Piano del commercio ne è parte integrante e aspetteranno in ogni caso il Pums, Piano urbano della mobilità sostenibile, per decidere un nuovo Piano regolatore in base agli attrattori di traffico.
Ma pare uno strumento vetusto ormai. Abbiamo un patrimonio abitativo immenso, cali demografici, emergenze ambientali e una terribile pandemia in corso, a cui, assicurano gli esperti, ne seguiranno altre sempre più frequenti per i cambiamenti climatici, nascono nuove visioni architettoniche del mondo e noi sempre a rincorrere qualcosa che è già stato e che probabilmente non sarà più. Speriamo almeno in una qualche innovazione apprezzabile che in questo decennio ci è stata negata.