Il 6 aprile 2009 ha segnato per sempre la città. Avrei voluto vedere tutti i protagonisti di quei giorni, alla riapertura della Basilica di Collemaggio, perché una comunità è tale solo quando ha memoria. Ho intravisto Gianni Chiodi, già commissario alla ricostruzione, con Paolo Gatti, ma è uscito in fretta, non c’era Guido Bertolaso che pure fece di tutto, perché la notte di Natale del 2009 quella basilica scoperchiata potesse accogliere il dolore degli aquilani in lutto, c’era Luciano Marchetti, ospite della Soprintendenza, l’allora vice commissario alla ricostruzione dei Beni culturali, mancava Cialente e mancava Berlusconi, hanno fatto la storia della nostra città ma non c’erano. Qualche frate, prelati ed alti rappresentanti del Governo, come il ministro Franceschini, e di Eni, sponsor ufficiale dei lavori sulla basilica.
Mi è mancato Duilio Miocchi recentemente scomparso, l’ultimo mastro restauratore, così lo ha definito nell’omelia del trapasso monsignor Antonini, restaurò la basilica anni addietro, sono cresciuta con lui e a lui dedicherò presto un pensiero.
E mancava Vladimiro Placidi, assessore ai Beni culturali dell’immediato post sisma con Cialente, artefice dei lavori all’ex mattatoio e promotore della sponsorizzazione Eni, profondo conoscitore della storia della nostra città, tra i pochi che ho visto piangere la distruzione dell’Aquila. C’era Carlo Cafaggi, tecnico comunale responsabile dei lavori, avrei voluto incontrare Pino Galassi e Mario Di Gregorio, sempre presenti in quei difficilissimi mesi della tragedia e nelle scelte più dure da prendere per la città.
Dopo Placidi un assessore ai beni culturali non c’è più stato, commoventi i Vigili del Fuoco a scortare il rientro delle spoglie di Celestino V nella basilica, bistrattati da uno Stato che dimentica troppo in fretta le tragedie. Non vorremmo che L’Aquila facesse altrettanto, vista l’assenza dei tanti che dal 6 aprile hanno solo respirato macerie e dolore, una triste assenza che in molti hanno notato.