Per una ripresa post sisma strategica, L’Aquila avrebbe dovuto riflettere innanzitutto sulle proprie vocazioni. Turistiche, artistiche, culturali, tecnologiche, innovative o ambientali ma sono decenni che non ne viene a capo, ed è il territorio, ad avere una forma mentis che impedisce qualsiasi aspirazione consortile, l’unione qui, non ha mai fatto la forza. Ognuno a difendere il proprio ducato, la propria sovranità marginale, ma il mondo sta cambiando, insieme si potrebbe fare meglio, L’Aquila e il comprensorio non ci riescono, e la ripresa post sisma, dal punto di vista economico e sociale, va avanti così, come viene, a chi fa prima, a chi riesce prima a convincere un Sindaco volubile, che s’innamora delle idee e poi va a Roma a chiedere fondi. Glieli hanno sempre dati, ma i risultati non ci sono. Per il polo elettronico, fallito da decenni, ha trovato un’azienda strana, nata subito dopo il terremoto, la Accord Phoenix di cui non si conosce il piano industriale, ha sede legale a Cipro, non si sa come raggiungerà gli obiettivi, ma s’insedierà e riciclerà materiali. Non sappiamo altro, prenderà però fondi pubblici, parliamo di milioni di euro, destinati dallo Stato alla ripresa produttiva del cratere sismico, i soliti incentivi per assumere, finiti i quali, se ne tornerà da dove è venuta. Allo stesso modo, la XPress, la società che ha avuto per vent’anni la gestione dello scalo commerciale di Preturo, non dice chiaramente come pensa di fare utili e con quale credibilità, per il momento si sa solo che ha avuto un congruo contributo comunale per la gestione, e lavori ed accomodi sempre a carico dell’amministrazione aquilana, ha provato a prendere 880mila euro di fondi europei per assumere 60 persone, ma la Regione glieli ha tolti, poco chiaro ne è stato l’utilizzo, mentre gli assunti, invece di rimanere in loco, sono stati smistati in altri sedi societarie. Perfino il Gran Sasso Science Institute, finanziato per ricerche nella fisica nucleare per tre anni, per 36milioni di euro in tutto, dovrà dimostrare di aver prodotto qualcosa, altrimenti a fine triennio, chiuderà i battenti. Resta infine l’ultimo flop della vocazione turistica, il Gran Sasso doveva rinascere e rinnovare le proprie infrastrutture con l’arrivo di Invitalia, partecipata di Stato indebitata fino al collo, eppure imposta ai terremotati, per cui prendere o lasciare: se la prendete, hanno detto chiaramente, avrete la quota parte dei cento milioni di euro per il Gran Sasso, altrimenti vi tenete le infrastrutture obsolete che avete. I milioni volano come fossero centesimi, fossero almeno investiti bene.