In occasione dell’anniversario del sisma del 2009, Abruzzo Openpolis ha fatto il punto con Massimiliano Giorgi, sindaco di Montereale, paese di poco più di duemila abitanti nell’Alto Aterno aquilano, e vice-coordinatore dei Comuni del cratere sismico.
Tra i Comuni abruzzesi ce ne sono circa una decina che rientrano sia nel cratere del 2009 che in quello del biennio 2016-17. Uno di questi è Montereale, qui, grazie ai fondi del Pnc, Piano nazionale degli investimenti complementari, registra Openpolis, saranno realizzati diversi interventi di riqualificazione sia di edifici che di spazi pubblici, oltre che di impianti sportivi e sulla viabilità.
Un primo elemento di difficoltà che caratterizza il nostro territorio riguarda il fatto che le procedure per la ricostruzione per il sisma del 2009 e per quello del 2016 hanno una regolamentazione diversa, spiega Massimiliano Giorgi ai redattori. Questo ha portato delle difficoltà ai Comuni del doppio cratere, con due anni di fermo per via dell’adeguamento della normativa. Una volta definita la procedura gli uffici tecnici sono andati avanti spediti, purtroppo abbiamo subìto il rallentamento dovuto all’aumento dei prezzi e dell’inflazione. Ad oggi però la ricostruzione è abbastanza avviata, le imprese si sono organizzate e stanno lavorando. Le persone iniziano a rientrare nelle loro abitazioni.
Che impatto avranno i fondi del Pnc sui territori? Contribuiranno al rilancio?
Le risorse non sono mai mancate. Tutti i Governi che si sono succeduti dal 2009 ad oggi hanno garantito un flusso di denaro che ci ha permesso di programmare e investire. Al di là della ricostruzione delle abitazioni private, ci sono molti interventi che riguardano le infrastrutture. Dalle strade alla fibra. Abbiamo oggi la possibilità di portare le connessioni veloci in ogni piccolo centro montano. Il ritorno nell’immediato c’è, perché si creano opportunità per le imprese e i lavoratori, il problema è a lungo termine perché rischiamo di fare tante belle cose che potrebbero rimanere inutilizzate. Tante persone sono andate via e quando se ne vanno difficilmente tornano. A meno che lo Stato centrale non renda conveniente la vita in questi piccoli centri.
Cosa si può fare per invertire questa tendenza?
Di cose se ne possono fare tantissime, sia a livello centrale che regionale, tempo fa, al ministro per la pubblica amministrazione Zangrillo, ho proposto di introdurre la possibilità di un giorno a settimana di smart working per i dipendenti pubblici a favore di chi ha una casa nei Comuni delle aree interne con meno di 3mila abitanti. Sarebbe un intervento a costo zero per l’amministrazione ma permetterebbe alle persone di tornare a vivere in questi paesi magari dal venerdì al lunedì. Già così si amplierebbe il tempo che queste persone passano qui e così si creerebbe economia. Investire sugli asili nido può essere un altro elemento che incentiva le persone a tornare. Creando una sinergia con i Comuni si potrebbero generare delle situazioni per cui le persone si troverebbero a vivere in case nuove, sicure, green, con delle infrastrutture adeguate. Questi nuovi borghi consentirebbero una qualità della vita piuttosto elevata. Dobbiamo creare le condizioni affinché questo avvenga. Tutto poi dipende dal lavoro chiaramente. Se si crea lavoro le famiglie tornano.
Il rischio è che si stia investendo per creare delle cattedrali nel deserto?
Assolutamente sì. Avremo magari delle seconde case di persone che nel frattempo se ne sono andate e si sono rifatte una vita altrove e che tornano solo nel fine settimana. Non è accettabile.