L’Aquila non può essere certo considerata come Roma o Milano, ma può rappresentare una città intermedia importante per le aree interne limitrofe. Il ruolo delle città intermedie è fondamentale, per Alessandra Faggian che dirige l’area di Social sciences del Gssi, l’innovativa realtà accademica che studia tali dinamiche, ponendo temi a servizio di future strategie sui territori.
Da questi concetti si può partire per pianificare politiche pubbliche funzionali per la lotta allo spopolamento, rileva in un approfondimento Abruzzo Openpolis. Da un radicale rafforzamento dei servizi essenziali per la popolazione, allo sviluppo turistico o produttivo, fino alle politiche per la genitorialità e per una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
Lo scorso anno il gruppo di lavoro Gssi ha pubblicato “Distanti ma vibranti. La capacità dei luoghi di adattarsi alla perifericità”, focalizzando l’attenzione sui territori definiti “vibranti”, cioè capaci di mantenere inaspettatamente una traiettoria positiva di incremento demografico, dal 1971 al 2011.
Il Gssi ha attivato la sperimentazione del dottorato comunale, con una borsa di dottorato che si svolge sul territorio, in particolare nella Valle Subequana, una valle periferica in provincia dell’Aquila e una collaborazione con l’associazione Riabitare l’Italiavnell’imminente partenza del progetto “Hub di montagna”, uno sportello per la neo-residenzialità, che sarà ospitato nei territori periferici e montani dell’aquilano.
L’Abruzzo ha oggi grosso modo la stessa popolazione del 1951: 1,28 milioni di persone. Ma si tratta di una stabilità solo apparente. Dal 1951 al 2020 la provincia di Pescara ha visto un aumento dei residenti del 30,9%, quella di Teramo del 10,7%. Al contrario, le province di L’Aquila e Chieti hanno registrato un calo rispettivamente del 20% e del 6,2%.
Nei Comuni periferici e ultraperiferici della Regione dal 1951 la popolazione è diminuita del 31,4%. Un calo superiore a quanto registrato a livello nazionale per i territori con le stesse caratteristiche (-20% nello stesso periodo).
Villa Santa Lucia è passata da 1.251 residenti nel 1951 a 92 nel 2020, con un calo del 92,6%. Negli anni l’isolamento è stato così evidente, che nel gennaio 2020 l’amministrazione comunale stanziò 25mila euro a fondo perduto per chi avesse aperto un bar, luogo che in paesi così piccoli svolge una fondamentale funzione di socialità. Poche settimane dopo l’apertura del bando, però, è scoppiata la pandemia.
Quello di Villa Santa Lucia (nella foto) non è l’unico caso di spopolamento nelle aree interne abruzzesi. Altri 32 comuni – tutti periferici o ultraperiferici – hanno registrato cali superiori all’80%.
Complessivamente, dal 1951 al 2020, le aree più periferiche hanno perso quasi 100mila abitanti, di cui 11mila nell’ultimo decennio.
Tuttavia lo spopolamento non è generalizzato, rileva ancora Abruzzo Openpolis, molte città della costa adriatica hanno visto negli ultimi decenni un’espansione importante. Su tutte Montesilvano (Pescara), passata dai circa 7mila abitanti del 1951 agli oltre 50mila attuali (+622,13%). Una crescita rilevabile anche nell’ultimo decennio (+5,8% dal 2011), così come in altri Comuni – tutti sul mare o vicini alla costa – cresciuti di oltre il 200% negli ultimi 70 anni: San Salvo, Alba Adriatica, San Giovanni Teatino e Martinsicuro.
Anche i Comuni polo, centrali in termini di servizi, hanno visto la propria popolazione aumentare del 47,2% dal 1951 a oggi.
Una tendenza superiore a quella registrata a livello nazionale (+29,5%) e a cui non fanno eccezione neanche i capoluoghi di province in via di spopolamento. L’Aquila, infatti, ha aumentato i suoi abitanti del 26,9% rispetto al 1951, Chieti di oltre il 20%. Ancora più evidenti le crescite di Pescara (81,4%), Avezzano (61,4%) e Teramo (35,8%).
Peraltro all’interno delle aree periferiche ci sono meccanismi relazionali e processi socio-economici disomogenei persino dentro lo stesso territorio comunale, tra il centro del paese, le frazioni e le case sparse, spiega il ricercatore del GSSI Fabiano Compagnucci, co-autore di un articolo sull’organizzazione territoriale delle aree periferiche abruzzesi, pubblicato lo scorso luglio, questi Comuni riescono comunque a organizzare il territorio circostante, fornendo alcuni tipi di servizi pubblici e privati o opportunità occupazionali a scala sovralocale. Questi insiemi di comuni dovrebbero costituire l’unità spaziale su cui calibrare le politiche di coesione.
In questi anni è emersa l’importanza strategica di un dialogo tra questi due mondi, al fine di disegnare una visione di futuro. Si tratta di un passaggio evolutivo fondamentale, perché è difficile pensare a un’indipendenza delle aree interne, aggiunge la ricercatrice Giulia Urso.