Giorgio Bocca non ha fatto scuola, non ha eredi. Così il saggista Pierfranco Pellizzetti all’indomani della morte del grande giornalista qualche anno fa. Con lui muore l’ultimo esemplare di una specie rarissima nella zoologia intellettuale del novecento: il libero pensatore che cerca di capire senza farsi mai prendere dall’ansia di parteggiare, di schierarsi nel campo conformistizzante delle appartenenze che impongono la critica a senso unico e i propri stereotipi.
Manca un libero pensatore e mancano gli intellettuali, quelli veri, quelli da seguire per farsi un’idea, un’opinione prima di andare al voto, ad esempio, senza soccombere sotto conformismi di parte che oltre ad avvelenare le acque anestetizzano le menti ogni giorno di più.
Ma serve ancora ragionare, argomentare in maniera competente, serve imparare dal passato? Serve analizzare i problemi, porci di fronte ai grandi dilemmi della vita con una visione di fondo, proporre strategie di lungo termine, confidare ancora nel buon senso e nell’intelligenza delle persone? Certo che sì: visto che l’opinione pubblica non è affatto composta da stupidi. Vanno semmai cambiate le forme in cui questo contributo viene offerto. Non si tratta solo di mutare stile di comunicazione: è una questione di contenuti.
In un approfondimento su Avvenire di qualche tempo fa, si tornava sul ragionamento degli intellettuali, il riconoscimento del contributo di chi riflette, di chi fa un ‘lavoro intellettuale’, come una volta si diceva, sembra essere venuto meno. E proprio quando esso sarebbe più utile: in un momento cioè, come il nostro, di grande confusione civile e sociale. Gli uomini politici, infatti, non sembrano avere più bisogno di prospettive e di consigli critici, perché ciò che serve loro sono soprattutto buoni comunicatori, capaci di seguire i mutevoli gusti del pubblico. Ma non servono a molto neppure le opinioni degli opinionisti: tanto più che solo il 20% degli italiani legge regolarmente un giornale. Oggi, poi, le opinioni sono tutte sullo stesso piano, indipendentemente dalle competenze che uno ha. Ognuno può essere un opinionista. È sufficiente che abbia l’accesso a un social per esprimersi ed essere gratificato da un “mi piace”.
Stiamo facendo un brutta fine, e questa fine si percepisce soprattutto nella provincia, in una città come la nostra dove una campagna elettorale per il rinnovo dell’amministrazione, non riesce a prendere proprio la piega di un confronto costruttivo, che faccia innanzitutto capire, ancor prima di puntare a distruggere l’avversario più forte delegittimandolo. E chiunque provi a fare un ragionamento libero, rimpiangendo un Giorgio Bocca o anche un Peppe Vespa dei nostri tempi, viene letteralmente disintegrato. O perlomeno ci provano: l’importante è distruggere e avvelenare. D’altra parte è sempre questione di contenuti. Dove sono i contenuti?
E Pellizzetti torna su Bocca nel suo Lamento per un tipo intellettuale perduto, per parlare di stile, quale specchio di una personalità non addomesticabile, quando ormai i più giovani scrivono malissimo e quei pochi che non lo fanno troppo spesso paiono specchiarsi nella propria scrittura. Quella sciatteria comunicativa, che è l’altra faccia della filosofia del “vaffa”, valorizzata all’ennesima potenza dal format del blog anche se vi sono voci che si impegnano a contrastare la tendenza dominante. E che un tale personaggio non abbia fatto scuola è la conferma più lampante del nostro declino democratico e civile.
Continuiamo quindi a rotolare verso il basso, cercando col lumicino intellettuali capaci di leggere il momento storico e cronisti liberi di pensare, sperando di recuperare il cammino lento della lettura politica, della riflessione, del contenuto e di un dibattito pubblico/politico degno di questo nome.