Un convento domenicano che dialogava con un tessuto urbano già esistente. Ascoltare l’architetto Maurizio D’Antonio, raccontare L’Aquila e la sua storia, è sempre un viaggio. L’altro giorno, con Archeoclub, è stata la volta del complesso di San Domenico. I secoli, i terremoti, le leggende ed una ricostruzione minuziosa che ha dimostrato come il nucleo fondativo non fu una donazione di Carlo II d’Angiò, ma proprio l’antico convento.
Con i domenicani c’erano gli agostiniani e i francescani, i cosiddetti mendicanti che si insediavano a margine delle città e raccoglievano le elemosine. I tre insediamenti delimitarono un’area urbana abitata già nei primi anni cinquanta del ‘200. Una struttura complessa con i tre cortili, i chiostri e i porticati rimaneggiati a seguito dei terremoti del ‘400 e del ‘700. La rifondazione del 1266 è una maglia che ricorda città francesi e inglesi con lotti edificabili come quelli descritti da Buccio di Ranallo nelle sue cronache. La fondazione dell’Aquila avvenne in un contesto europeo, ed alcune vie radiali in zone della città, dimostrano la preesistenza di tessuti urbani di questo genere, mentre i molti reperti rinvenuti appartengono al primitivo convento, elementi che hanno fatto la storia della ceramica in città, dal ‘200 al ‘500, alcuni, con il suo stemma. L’assetto trecentesco vide quindi un grande convento ed una chiesa intitolata alla Maddalena a cui Carlo II era devoto perché rinvenne le sue reliquie in Provenza, credeva che lo avesse protetto e proprio alla Maddalena, risultano dedicati 12 conventi, ben 11 sono stati ritrovati tra Napoli, Pozzuoli, Brindisi, Manfredonia e la Provenza e nel tempo sono stati poi intitolati a San Domenico, attraverso i domenicani, la corona aveva il controllo politico del territorio, ha spiegato l’architetto.
Nel chiostro, dove oggi ha sede anche la Corte dei Conti, il pilastro angolare in pietra bianca e rossa, i colori della città, la volta è affrescata, restano elementi lignei nei solai, disegni di matrice francese ed una pianta architettonica complessa, segno che l’ambiente culturale e architettonico in cui nacque era di alto livello, molto al di sopra del luogo. I terremoti del 1461 e del 1703 registrarono crolli nella chiesa, con 600 morti nel ‘700, anche se in quello del ‘400, grazie ai criteri antisismici di allora, il chiostro rimase intatto, i frati vendettero alcune proprietà per finanziare la ricostruzione, la struttura si ampliò verso ovest con un secondo chiostro, la biblioteca e un’infermeria, le famiglie aquilane sostennero i lavori, come gli Antonelli, famiglia di banchieri. Affreschi e loggiato e nei primi del ‘500 ancora una nuova struttura.
Quindi un altro terremoto e poi la soppressione dei conventi con le leggi ottocentesche ed il carcere di San Domenico fino ai giorni nostri, furono distrutti i grandi corridoi per fare le celle, con il recupero recente abbiamo ricostruito ove possibile tutte le volumetrie settecentesche. Le domande aperte sono molte, ha concluso D’Antonio, si spera che nei prossimi lavori di tutto l’apparato decorativo e della pavimentazione della chiesa scopriremo di più.
Il complesso di San Domenico fu riqualificato un mese prima del devastante sisma del 2009, con il Provveditorato ai lavori pubblici e proprio D’Antonio ne seguí i cantieri. Poi gli uffici, il complesso ha infatti ben resistito al terremoto, la Corte dei Conti e l’Avvocatura di Stato, dalle notizie emerse, il chiostro quattrocentesco sarà presto visitabile come pure il Museo delle ceramiche, grazie ad una convenzione tra l’Università e la Sovrintendenza. D’Antonio ha attraversato la storia del convento, ricostruendo un percorso affascinante e appassionato tra conventuali e raffinate tecniche costruttive ed urbanistiche, antisismiche già nel ‘400.