Lo storico dell’arte David Joselit mi ha detto, Cindy non ha paura di essere brutta. Essere brutti è di certo indesiderabile ma interessante a livello intellettuale, così William J. Simmons su Flash Art qualche tempo fa, scrivendo di Cindy Sherman, fotografa pittrice artista in continua sperimentazione, classe 1954, tra i cento più potenti del mondo per il Time.
Ho ripensato a questo commento quando i sedicenti membri anti establishment della stampa artistica si sono indignati per i selfie di Sherman su Instagram, scrive ancora Simmons. Se ricordo bene in origine il suo account era privato poi un giorno ha deciso di renderlo pubblico e tutti hanno dato per scontato che questo lo rendesse improvvisamente Arte e dunque soggetto a Critica.
È semplicemente una sventurata coincidenza che il lavoro di Sherman abbia prefigurato Instagram, portando così il suo account a essere equiparato al suo lavoro. Sherman è una persona, tuttavia le è stato imposto il ruolo della gemella cattiva, ma un personaggio dell’arte o del cinema non è né buono né cattivo, né critico né complice, né brutto né bello, perché un personaggio è una vita interiore racchiusa provvisoriamente in un archetipo e nessuna vita interiore davvero sentita vissuta e scritta può essere sbagliata.
Cindy gioca, scompone, destruttura, sradica stereotipi, soprattutto quelli femminili in chiave femminile/sta, sperimenta e sperimenta anche su Instagram. 63 anni, continua ad avere molto da dire e così trasferisce le sue metamorfosi/selfie social su tessuto, e sceglie la tradizione del Belgio per farlo, quindi il tessuto va in mostra a Los Angeles in una serie di arazzi fino al primo maggio 2021. Tapestries. Tele stravolte, selfie deformati/anti, personaggi a cui donare vita.
Amante dei travestimenti ha riprodotto direttamente i suoi post, geneticamente modificati sul social più cool del momento, se ne continua a parlare da settimane perché Cindy Sherman difficilmente passa inosservata e costruisce alla perfezione i suoi personaggi. Che non sono mai il mezzo per parlare di storie sue che non oserebbe mai raccontare sono personaggi a cui dona un’esistenza propria.
Diventa quindi ragazzo con la barba bionda su paesaggio romantico di ruscelli e cieli rosa; è poi extraterrestre con la pelle viola, capelli rosa e ciglia imponenti per farsi un selfie in un tramonto onnipotente.
Cerco di cancellarmi più che identificarmi, insiste, perché non ha bisogno di nascondere nulla e non ha bisogno di maschere, i suoi personaggi diventano protagonisti ed è lei ad uscire di scena. Senza il timore di apparire brutta, non lo ha mai avuto rivedendo i suoi lavori, e lavora anche senza mezzo fotografico, con il realismo surreale delle sgranature di scarsa qualità delle immagini di Instagram. Vite sgranate per mostrarne i paradossi con il consueto sguardo libertario, che fa paura a chi è costretto ad inquadrarla in un pezzo critico.