Abbiamo una storia importante sulla prevenzione antisismica all’Aquila che nei secoli abbiamo perso. L’architetto Maurizio D’Antonio, che ha già pubblicato degli studi, stamattina l’ha raccontata nella due giorni dedicata alla conservazione dei beni ecclesiastici.
Dal 1254, anno di fondazione, al 2009, abbiamo avuto 137 sismi, di cui 5 devastanti, L’Aquila è stata ricostruita quattro volte, questa è la quinta, ed ogni edificio conserva tecniche costruttive diverse, una stratificazione di otto secoli, ha spiegato nell’affascinante ricostruzione storica riportata a seguire.
In una stessa parete, in pochi metri quadri, ritroviamo tecniche medievali, bozzetti, pietra e murature settecentesche da materiali da crolli.
La presenza della cultura antisismica risale alla seconda metà del ‘400, i crolli del 6 aprile non hanno ostruito le strade, non c’è stato un ribaltamento generalizzato delle facciate come nei precedenti terremoti, come anche ad Amatrice. Solo casi sporadici. Piuttosto l’implosione dei crolli all’interno grazie agli interventi antisismici preesistenti. Già dalla seconda metà del 400, all’Aquila, c’erano accorgimenti per evitare la rotazione delle pareti verso l’esterno, abbiamo esempi nei contrafforti delle chiese e nel refettorio conventuale di San Bernardino. Anche in alcuni vicoli, come il Chiassetto del campanaro, molti altri sono stati demoliti come gli archi di via Annunziata. Nei palazzi rinascimentali come palazzo Centi, fatti in modo da ottenere un basso centro di gravità, fino alle volte e alle tramezzature leggere, per ridurre le masse, nel 1700.
La tecnica più diffusa di prevenzione antisismica, inseriva travi di legno nelle murature per rinforzarle, e risale a 4mila anni fa. Le travature verticali ed orizzontali sono un’invenzione cinquecentesca del Tibaldi, l’architetto lombardo Pellegrino Pellegrini, e all’Aquila si registrano presenze di maestranze lombarde, le sue tecniche si diffusero in Abruzzo e in particolare proprio all’Aquila.
Fin dalla metà del ‘400 le travi venivano inserite a cintura dentro la muratura a più livelli.
Era una cerchiatura per ogni piano, ed era la sicurezza antisismica del tempo, con un capochiave di ancoraggio esterno a tenere le travi. In legno oppure in ferro, spesso espresso artisticamente con i gigli, ce ne sono molti come capochiave all’Aquila. Anche le cavità del tetto venivano ancorate, ed è così che nasce il sistema costruttivo antisismico. L’Aquila ed i borghi del territorio lo testimoniano con edifici storici che ne conservano le tracce. In alcuni casi la scarsa qualità muraria ha reso inefficace la tecnica, come a San Biagio dove la facciata non ha retto.
Presidi di questo tipo sono nel convento di San Bernardino, nel campanile della seconda metà del ‘400, nell’abside della basilica con la volta quattrocentesca, preclusa dalla sottostante volta cannucciata del ‘700, per tenere insieme le facciate. La tecnica fu riproposta nella ricostruzione del ‘700, nel tamburo risultano 64 tiranti inseriti e travi lignee all’interno.
A San Domenico. Il convento è stato restaurato prima del 6 aprile 2009, d’origine trecentesca poi divenuto carcere, il consolidamento dei lavori è finito un mese prima del 6 aprile 2009 e conserva presidi antisismici costruttivi con un sistema di cinture e catene lignee distribuite su tre livelli. La chiesa di San Domenico porta dentro il perimetro catene lignee settecentesche e poi ancora Santa Maria del Soccorso, la Madonna d’Appari con tre livelli di cerchiature, Collemaggio, che mostra livelli di cinture nell’abside maggiore, ed il castello di Celano, Sulmona e Castel di Sangro, dove si ritrovano capochiave in legno con travature lignee, altre aree del sud, come la Puglia, legate all’Abruzzo, presentano tecniche antisismiche analoghe.
Dunque tra il ‘400 ed il ‘700 un sistema costruttivo antisismico all’avanguardia copriva gli edifici fino a tre piani, contrastando il ribaltamento delle pareti, tenendo insieme edifici rinascimentali che hanno retto anche al 6 aprile.
I danni maggiori sono stati infatti registrati in costruzioni profondamente alterate nei due secoli scorsi con la rimozione dei presidi antisismici o l’aggiunta di parti strutturali incongrue.
Dal ‘700 cominciarono a nascondere il capochiave, si passa dall’orgoglio artistico dei gigli, a nasconderli, per un nuovo senso estetico.
Nel corso dell’800 diminuisce la cultura antisismica, contraria alle travature o a tiranti metallici, cominciando ad ignorare i terremoti anche ispessendo le murature.
Nel corso del ‘900 i tiranti sono stati spesso rimossi, come a palazzo Alfieri ad esempio. Nuovi tiranti lignei fioriscono nel ‘700 per poi essere tagliati in una volta ottocentesca ed anche nel post sisma del 6 aprile. Per ragioni estetiche sono stati tagliati a San Bernardino, a Santa Chiara, e sono state tolte le catene lignee anche alla Beata Antonia che vanta la volta più antica della città.
Nel tempo, abbiamo perso questi presidi.
Nel corso del secondo ‘900 sono stati sostituiti con materiali incompatibili, siamo tornati alle catene, ma più di riparazione che di prevenzione antisismica.
L’impiego di nuovi materiali e la perdita di conoscenza degli antichi cantieri ha portato a compiere manomissioni e trasformazioni per cui i presidi sono poco conosciuti ancora oggi. Conoscere il passato è fondamentale, ha concluso Maurizio D’Antonio, per procedere al restauro con maggior cognizione. Ignorare la storia, significa perdere l’identità ed un patrimonio di conoscenze.
Intanto i nostri beni pubblici ed eccelsiastici deperiscono nell’incuria di chi invece dovrebbe tutelarli perché patrimonio unico ed irripetibile.
Le chiese vanno riaperte, ma non con un calendario che non ha mesi e non ha anni. Si dice faremo presto, ma quanto presto? ha detto sua eminenza Giuseppe Petrocchi. E’ necessario un cronoprogramma condiviso, perché le chiese sono luoghi aggregativi. Con la città bisogna ricostruire i cittadini, L’Aquila non deve diventare uno sfoggio di competenze ma un modello.