All’indomani del sisma del 2009, ci paralizzarono tutte quelle palazzine con le colonne portanti attorcigliate su loro stesse, solai disallineati dalle mura maestre e costruzioni strizzate e disintegrate come se la magnitudo in quei luoghi fosse stata di gran lunga superiore al 6.3 Richter ufficiale, e perfino al 6.8, l’accelerazione registrata in alcune zone per cui, non essendoci la roccia, ma la faglia oppure acqua e sabbia come a via XX Settembre, seppur a diversi metri di profondità, gli edifici avevano avuto quella reazione apocalittica. Da quel momento fu chiaro a tutti che avremmo dovuto conoscere il terreno di tutto il territorio, prima di scegliere come dove e se ricostruire. Questo lavoro lo iniziò la Protezione civile con la Regione Abruzzo, e produsse uno studio in cui mi colpì molto il fatto che oltre ai terreni e al sottosuolo, c’era la caratteristica aquilana e dei borghi del comprensorio per cui, sotto le strade e sotto le case, censirono centinaia di cavità. Una bomba ad orologeria dissero, bisognava intervenire su queste cavità, perché con la ricostruzione pesante ed il passaggio di mezzi pesanti e continui avrebbero potuto cedere quei manti stradali ormai sottili sotto i quali c’è solo il vuoto. Non ho mai assistito ad un confronto pubblico che affrontasse il problema, qualche ingegnere appassionato ci ha spiegato che queste cavità oggi si palificano e non vengono più riempite come una volta, ma non è mai nato un dibattito, il territorio non lo conosciamo e parecchie frazioni e borghi ancora non sono stati microzonati, come si dice, c’è un legge regionale del 2011 che impone, prima di qualsiasi apertura di cantiere edile, ampliamento, variante o sopraelevazione, di conoscere il sottosuolo e di avere a tal scopo un’autorizzazione preventiva, ma la Provincia che avrebbe poi dovuto controllare le pratiche con un ruolo ispettivo, in realtà non ha mai iniziato, l’applicazione della legge è stata infatti differita per ben cinque volte e l’ultima scade il 31 dicembre prossimo. Intanto si costruisce ovunque, peggio di prima con palazzine oltre i cinque piani, insediando attività produttive in zone a rischio dissesto senza fare un piega.