L’occupazione femminile nelle regioni del Mezzogiorno è la più bassa d’Europa. Lo spiega un rapporto Svimez che fa emergere un divario già elevatissimo nel 2001, circa 25 punti percentuali, superando i 30 punti nel 2017. Confrontando il tasso di occupazione delle 19 regioni e le due province autonome italiane con il resto delle 276 regioni europee, il quadro è pesante.
L’Abruzzo è in fondo, alla 256ma posizione.
Solo la provincia di Bolzano si colloca nella prima metà delle regioni europee, con un tasso di occupazione femminile pari a 71,5%, alla 92ma posizione. Seguono Emilia Romagna (153) Valle d’Aosta (154) e la provincia di Trento (175), con tassi di occupazione femminili intorno al 65%, in linea con la media europea dei 28 Paesi membri che è pari al 66,3%. Delle rimanenti regioni del Centro nord, Toscana, Piemonte e Lombardia si collocano intorno alla duecentesima posizione, mentre le altre su posizioni più arretrate con il Lazio ultimo in 236esima posizione con un tasso del 55,4%.
Le regioni del Mezzogiorno sono sensibilmente distanziate da quelle del Centro nord e si collocano tutte nelle ultime posizioni: Puglia (31,7%), Calabria (30,2%), Campania (29,4%) e Sicilia (29,2%) nelle ultime quattro, di circa 35 punti inferiori della media europea. L’Abruzzo è 256ma con un tasso di occupazione pari al 47,6%, Molise (260) e Sardegna (261) con tassi di occupazione intorno al 45%.
Nel 2018 sono state 3milioni 663 mila le donne che hanno svolto lavori qualificati, di queste, però, appena 851 mila sono meridionali, meno di un quarto del totale.
Secondo elaborazioni Svimez su dati Eurostat ed Istat al 2018, si nota che il tasso d’occupazione femminile per le donne in possesso di laurea è ancora molto basso al Sud, appena il 63,7%, contro una media dell’81,3% in Europa, con punte dell’84,7% in Germania e 85,9% nei Paesi Bassi e dell’85,2% in Portogallo, e il 79,8% del Centro nord.
Le donne laureate sono inoltre penalizzate anche dal punto di vista retributivo: una donna laureata da quattro anni che lavora al Sud ha un reddito medio mensile netto di 300 euro inferiore a quello di un uomo,1.000 euro contro 1.300. A livello nazionale il differenziale è di poco inferiore circa 250 euro. Le donne lavoratrici dipendenti guadagnano in media 1.281 euro mensili nette, se sono impegnate a tempo pieno, contro i 1.398 delle loro omologhe nel Centro nord. Tra le laureate il divario di genere si attenua ma non si annulla.
L’occupazione domestica delle donne
Unione sindacale di base ragiona anche sul lavoro domestico e di cura che tanto continua a pesare sulla vita delle donne. 50 miliardi e 600 milioni di ore di lavoro gratuito delle donne contro i 41 miliardi e 700 milione di ore di lavoro retribuito dell’intera popolazione maschile e femminile.
Un lavoro completamente gratuito e privo di riconoscimento sociale, per Usb, e che anche quando entra nel mercato è tra i più sfruttati e malpagati e, nella maggior parte dei casi, delegato alle donne straniere e migranti. Un lavoro destinato a crescere ad ogni stadio di arretramento del welfare pubblico, sempre più privatizzato e sempre meno accessibile a quanti non sono in grado di permetterselo. L’occasione di approfondimento la fornisce una ricerca ANMIL, Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi del Lavoro, dal titolo Faccende pericolose che, seppur focalizzata specificatamente sulle casalinghe, fornisce dati di analisi in grado di fotografare una realtà, altrimenti, sommersa.
Le casalinghe sono 7milioni e 338mila, lavorano gratuitamente 20 miliardi e 349 milioni di ore annue pari a 2539 ore a testa, corrispondente a 49 ore settimanali.
Più della metà vive al sud ed ha una media di 60 anni circa.
Le statistiche ufficiali non hanno mai tentato neanche una stima del valore economico corrispondente a questa produzione. L’unico dato viene da un’indagine di ProntoPro.it che stima tale valore pari a 3.045 euro netti al mese.
Nel 2017 sono state coinvolte in incidenti domestici circa 600mila casalinghe.
Le lesioni più comuni sono le fratture (36% del totale), le ustioni (18,5%) e le ferite da taglio (15%). Una recente stima epidemiologica effettuata dall’Istituto Superiore di Sanità valuta in circa 8 miliardi l’anno i costi diretti e indiretti per la collettività derivanti dagli incidenti domestici. Non solo lavoro gratuito dunque ma anche altamente pericoloso.
Tra i costi che genera il lavoro non retribuito delle donne dobbiamo annoverare anche la più alta esposizione alla violenza domestica e l’impossibilità di uscirne a causa della mancanza di autonomia economica. L’Istat, poi, sottolinea che la situazione economica delle casalinghe è peggiore di quella delle occupate perché le casalinghe vivono maggiormente in famiglie monoreddito e quindi sono più esposte al rischio di povertà, soprattutto nel sud.
Quasi la metà delle casalinghe (47,4%) afferma che le risorse economiche della famiglia sono scarse o insufficienti. Le casalinghe lavorano tanto, non sono retribuite ed hanno un alta incidenza di infortuni e malattie professionali.