La qualità della vita nella provincia dell’Aquila, è precipitata al 71mo posto, un po’ più di dieci anni fa eravamo al 40mo. La classifica la pubblica ogni fine anno IlSole24ore, stilandola sulla base di alcuni parametri quali il reddito, la vivibilità di una città, i consumi, l’inquinamento, i servizi, il sociale insomma tutto quanto possa rendere una città al top. L’elenco è di 107 posizioni, non vorremmo tra qualche anno ritrovarci ancora più in fondo, senza che sia stata usata almeno una strategia di ripresa, che freni la caduta libera. All’Aquila, rispetto alle altre province d’Abruzzo, sono aumentati i tumori, la popolazione è più a rischio, stremata da un post sisma infinito, è una comunità stressata e depressa che ha moltiplicato l’utilizzo di psicofarmaci, ansiolitici ed antidepressivi, e respira polveri sottili. Dai cinque anni dopo il sisma è solo un rincorrere l’emergenza, le problematiche della società esplodono, se ne parla solo quando sono esplose. Una comunità dispersa, stremata, avvelenata, mai disunita come in questi ultimi tempi che non riesce a trovare un filo, quello che la riporti a combattere per il centro storico, perché torni finalmente a vivere e con esso quelli delle frazioni, piccoli borghi disabitati, con la gente del posto ad abitare i dintorni, a guardare le macerie delle loro vecchie abitazioni, giorno dopo giorno. Non si combatte più, per i centri storici. Non si combatte più, perché si torni ad un qualità di vita perlomeno accettabile. Prima del sisma L’Aquila era vivibilissima, per i tempi della quotidianità, l’aria pulita, il traffico regolare, un centro storico da percorrere a piedi, spazi verdi fruibili, silenzio a pochi passi dal centro nei parchi del Sole, del Castello o alla Villa comunale, c’era un diffuso benessere sociale, fisico e mentale, la gente s’incontrava nello struscio del Corso, pub e locali sempre vivi, era una città universitaria, piena di vicoli, piazzette e scorci antichi. Gli aquilani stanno perdendo la loro battaglia, la recuperano giusto quando gliela ricorda qualcuno, come quando vennero quasi un anno fa ormai, gli storici dell’arte, a dirci che L’Aquila doveva essere una questione nazionale, lo dissero con superbi scrosci d’applausi nei luoghi sconsacrati, appena restaurati, di San Biagio, c’era perfino il ministro alla Cultura Bray, storici dell’arte in vista, come Sgarbi, esperti tosti come Settis. Se ne sono andati e gli aquilani si sono ristabiliti nella loro solitudine, assuefatta ormai alle macerie, ai puntelli, alla città che non c’è più, ai centri commerciali.