Va’ e ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina, fu la chiamata del Cristo a San Francesco d’Assisi a seguito della quale Francesco, ruppe col padre Pietro di Bernardone, e rinunciò totalmente ai beni terreni.
Un messaggio di altissimo rigore morale e materiale che la Curia dell’Aquila, guidata da monsignor Giuseppe Molinari, traslò sul sisma del 2009, ed il 22 giugno 2010, alle 16, all’Auditorium dell’Ance, aprì Va’ e ripara la mia casa, una campagna promossa dalla stessa arcidiocesi, per la sponsorizzazione ed il recupero dei beni storico-architettonici danneggiati dal sisma, rileggo nella brochure ufficiale che ancora conservo.
Dopo i saluti di Molinari, dell’allora presidente della Provincia Antonio Del Corvo e del sindaco Cialente, gli interventi sulla diagnostica del vice commissario alla ricostruzione dei beni culturali, Luciano Marchetti, sulla progettazione della direttrice regionale dei Beni culturali, Anna Maria Reggiani e di Gianni Chiodi, presidente della Regione Abruzzo e commissario alla ricostruzione. Più tardi, il ministro Sandro Bondi. Conclusioni affidate invece al vescovo ausiliare monsignor Giovanni D’Ercole, moderatore don Luigi Maria Epicoco, vicario episcopale per i Beni culturali, la cultura e l’università.
Un piccolo piano regolatore che ridefiniva spazi e destinazioni d’uso, non solo religiosi ma anche laici, messo nero su bianco ma ancora da presentare alla municipalità e, forse, alla struttura commissariale. La cosa fu infatti digerita male e rimandata ad un confronto più ampio, perché nient’affatto condivisa con la città.
L’arcidiocesi propose quattro filoni di recupero: la fase diagnostica, quella della progettazione, il recupero fisico e il restauro delle opere d’arte con il monito di Luciano Marchetti, delegato alla messa in sicurezza dei beni, che disse, a quattordici mesi dal sisma, vi sono ancora edifici che necessitano di essere messi in sicurezza. Per finire i puntellamenti servono 7milioni di euro. E’ necessario intervenire perché un altro inverno avrebbe conseguenze gravi.
Marchetti scelse di puntellare tutto nel cuore antico dell’Aquila, altrimenti la città si sarebbe sbriciolata, assicurò, ne avremmo perso il ricordo, la forma, le strutture, quindi, a torto o a ragione, fasciò tutto perché quell’unicum, fosse salvaguardato dalle stagioni e dal tempo.
E chi sa cosa direbbe oggi, 10 giugno, festa di San Massimo, patrono della città, a vedere il duomo e la cattedrale abbandonata da 11 anni moltiplicati per quattro stagioni, intervallati dai faremo, siamo pronti, ecco stiamo per cominciare, mentre i puntellamenti su quella cattedrale li hanno dovuti riappaltare, aggiuntivi, qualche tempo fa.
Alla fine della fiera, tutto si arenò sotto la spinta della Curia che voleva riparare la sua casa, cioè le chiese, esattamente come avevano fatto fino ad allora tutti i privati: con l’affidamento diretto. Lo Stato si oppose, pretese le gare, la Curia e alcuni preti si spinsero ben oltre la promessa di lavori milionari ed affidarono progettazioni, che poi la Sovrintendenza ha faticato a fare proprie, tanto erano state assegnate a caro prezzo. Si dice che si siano messi d’accordo, ma non sapremo mai se la Curia pagherà la differenza tra i prezziari pubblici e quanto promise legittimamente, almeno così pensava, ai professionisti di fiducia.
Già pronti a cominciare, nella sala Ance, il 22 giugno 2010.
Oggi il Duomo è diruto, questa è la verità, mentre un’intera classe dirigente dovrebbe andare a casa, senza riparare nulla, perché non ne è capace.