Di seguito l’intervista all’architetto Maurizio D’Antonio, curatore con Simonetta Retica del libro ‘L’Aquila. Nuovi aspetti di storia costruttiva e l’evoluzione del quadro normativo nella ricostruzione pubblica’, ed. Carsa. Nella foto Le Cancelle nella loro collocazione originaria, da un dipinto di Cesare Miceli.
Architetto D’Antonio antiche rue e opus aquilano com’era la città dell’Aquila delle origini?
I leggendari 99 castelli, in realtà appena qualcuno di meno, che parteciparono alla fondazione della città contribuirono edificando ciascuno un’area delimitata, che prese il nome di “locale”, dove furono edificate le abitazioni dei villici trasferiti in città con chiesa e fontana. Le abitazioni furono costruite su lotti edilizi di 4 canne per 7,5, comperati per un fiorino, dove la casa a due livelli occupava circa la metà del lotto ed il resto era adibito ad orto. I lotti erano affiancati l’un l’altro a costituire un isolato. Tra una cellula abitativa e l’altra veniva lasciato uno spazio largo circa 2 palmi, detto rua, che, oltre a separare un edificio dal successivo, era destinato a raccogliere l’acqua dei tetti. I muri di queste abitazioni erano costituiti da un particolare apparecchio murario che oggi chiamiamo “opus aquilano”, formato da filari sfalsati di bozzette di pietra molto ben poste in opera. I piani terra di molte cellule trecentesche conservano ancora brani tali murature, nonostante le successive ricostruzioni e sopraelevazioni o la sostituzione delle imbotti di porte e finestre. Si conservano ancora anche molte rue, che insieme alle mura in opus aquilano il processo di ricostruzione ha evidenziato, anche se non sempre lasciate visibili.
Tracce archeologiche di cellule abitative due-trecentesche nella zona di San Silvestro indicherebbero un’area abitata dentro le mura molto più estesa di quanto sostenuto finora.
Al di là dei singoli ritrovamenti archeologici, basta considerare che ben 39 chiese risultavano dirute nel Settecento in zone della città che risultavano disabitate già nel Cinquecento, quindi presumibilmente a seguito del sisma della metà del Quattrocento e delle numerose pestilenze. Le 39 chiese erano in gran parte parrocchiali di locali che erano ovviamente costituiti da abitazioni. Quindi possiamo dire che la città abitata intramuraria trecentesca era più estesa di quanto appare nelle carte dal Cinquecento in poi. Per altro, la curva demografica della città ha avuto un andamento decrescente dal Trecento in poi, per risalire solo negli ultimi due secoli con il punto più basso dopo il terremoto del 1703.
La diffusione degli edifici porticati mostrerebbe una città estroversa e aperta all’esterno.
La città trecentesca era una città mercantile posizionata sull’importante asse di collegamento nord-sud costituito dalla via degli Abruzzi, che collegava Firenze con Napoli. Quindi al centro di grandi traffici commerciali.
Era caratterizzata dalla diffusa presenza di case bottega, ma anche da edifici con portico anteriore dove si esponevano le merci o si attendeva al lavoro artigianale. Quindi esisteva un rapporto diretto tra edificio e strada, un edificato mercantile proiettato sulla strada. Dopo il sisma di metà Quattrocento questo rapporto dell’edificato con la strada inizia a cambiare. Molti porticati vengono murati, essendo il punto debole dal punto di vista strutturale. Poi si diffonde un diverso modo di concepire l’abitazione. Si passa dalla cellula abitativa duecentesca alla casa palazziata accorpando più lotti abitativi per costruire edifici con cortile interno spesso porticato. Si diffonde il palazzo rinascimentale, di cui abbiamo molti esempi. Questo processo arriva all’estremo nel Settecento quando si costruiscono edifici con cortile con una o due porte, piano nobile e fondaci al piano terra con finestrature rialzate. Un edificio fortemente introverso, che si ritrae dalla strada. Si passa cioè da una città trecentesca fortemente estroversa dove l’edificato è proiettato sulla strada ad una città introversa con un limitato rapporto con la strada.
Ma anche locali interrati molto curati architettonicamente con tracce di affreschi con giglio fiorentino e cunicoli sotterranei.
La città mercantile trecentesca aveva bisogno di spazi di deposito e, se il piano terra era occupato dalla bottega del mercante o dell’artigiano e il primo piano dalla abitazione, ecco che il deposito si realizza in sotterraneo. Si sono rinvenuti locali sotterranei certamente destinati a cantine, per conservare vino, ma anche a forma di cunicoli per la conservazione di merci o ambienti molto curati architettonicamente e artisticamente che si giustificano solo con l’uso a deposito di materiali importanti e di grande valore, che all’occorrenza potevano essere aperti alla clientela.
Troviamo però anche locali oggi interrati, che un tempo non lo erano. Le macerie dei terremoti, in particolare quelle del 1703, non furono portate via, ma spalmate lungo le strade o usate per interrare locali. In città si notano molti portali presettecenteschi ricoperti dalla strada per gran parte della loro altezza.
Poi il sisma del 1461-62, conserviamo da allora tecniche antisismiche all’avanguardia, ma la città cambierà ancora: cosa succede dopo il terremoto del 1703?
La città storica è costituita prevalentemente da edifici rinascimentali e settecenteschi. Vi sono pochi esempi di costruzioni precedenti rimaste integre, abbiamo invece molte porzioni murarie due-trecentesche inglobate nelle successive ricostruzioni. Questo perché, a partire dal terremoto della metà del Quattrocento, si comincia a costruire case capaci di offrire una certa resistenza al sisma. Queste tecniche costruttive saranno ripetute nella ricostruzione successiva al terremoto del 1703 e ulteriormente sviluppate fino alla costruzione della cosiddetta “casa baraccata”, che non è una baracca come si potrebbe pensare, ma un edificio complesso, dove all’interno delle murature veniva inserito un telaio ligneo paragonabile agli odierni telai in calcestruzzo armato degli edifici contemporanei. La saggezza dei nostri antenati ci ha permesso di conservare la città costruita dal rinascimento in poi. Il sisma del 2009 ha fatto molti danni, ma non ha raso al suolo l’edificato storico, come è avvenuto in altri luoghi.
In un passaggio cita il prof. Raffaele Colapietra che racconta di una città ottocentesca ‘praticamente deserta, grandi piazze, strade dove non passa nessuno, grandi palazzi spropositati rispetto alla popolazione, un tocco d’ambiente malinconico, che è restato fino a non molti decenni fa’.
Colapietra ci descrive una città post sima del 1703 con scarsa popolazione, con grandi palazzi e strade deserte, che corrisponde a quanto dicevo. Una città malinconica, poco proiettata sulla strada, con una popolazione che vive nel palazzo raccolto intorno al cortile. Questo stato di cose comincia a modificarsi e ad evolvere verso un maggior rapporto con la strada dal secondo Ottocento con la costruzione dei portici e con la trasformazione delle finestre rialzate in porte su strada e dei fondaci in botteghe. Cioè si sviluppa nuovamente il rapporto mercantile tra la bottega e la strada, ma solo in parte e in limitate aree della città, quelle più centrali.
Il ritrovamento della Porta urbica di Poggio Santa Maria di cui si era persa memoria pone la questione dell’assetto nel tempo della cinta muraria ancora da approfondire.
L’assenza della pubblicazione di un serio studio scientifico sulla cinta muraria, che ne ripercorra lo storia e l’evoluzione costruttiva, pone una serie di quesiti che riguardano l’epoca di costruzione, l’esatto numero delle porte, la loro collocazione, l’uso che se ne è fatto nel tempo, le tecniche costruttive. Tutte questioni che sono solo apparentemente risolte, dando per scontato quanto si racconta, che invece ha bisogno di essere verificato.
Un percorso complesso lungo otto secoli che dalla bottega su strada torna alla bottega su strada, cosa cambierà nel post terremoto del XXI secolo?
Il processo evolutivo, che dalla città estroversa ha portato alla città introversa, sta lentamente tornando alla città estroversa e credo che i segnali in tal senso, molto forti e crescenti nel Novecento, diventeranno sempre più consistenti nel XXI secolo, quando la città, forse, finalmente si aprirà in modo opportuno anche al turismo.