Sul PNRR, il grande Piano Marshall per la ricostruzione sociale ed economica post pandemia, sconteremo la stessa assenza di informazioni utili a capire cosa cambierà con la ripresa lavorativa, ambientale, digitale e di riqualificazione urbana nella vita di ciascuno di noi. Manca un’informazione chiara e trasparente, negata alla collettività, esattamente come nel post sisma.
Virologi contro virologi, opinionisti contro scienziati e scienziati dei social contro tutti, la confusione è totale, perde credibilità anche quel poco che la scienza ha capito di questo brutto virus, e non solo non ci fidiamo più l’uno dell’altro, ma non ci fidiamo nemmeno più di chi dice che vaccinarsi è meno rischioso che prendere il virus. Per dire che una comunicazione al cittadino condivisa all’interno dell’Unione europea e poi tra gli Stati membri ed ancora con i cittadini di ogni Stato membro avrebbe se non altro creato meno insicurezze, poi ognuno di noi avrebbe avuto tutto il tempo, carte alla mano da trovare, di confutare le informazioni somministrate, ma perlomeno avremmo avuto un unico canale ufficiale a cui dare retta. Stessa storia per il sisma e per il PNRR.
Viene il ministro Giovannini che ci racconta la sua parte di Piano per l’Abruzzo, e poi la Regione la racconta dal suo punto di vista quindi i Comuni che fanno lo stesso, c’è la parte principale dei fondi che gestisce direttamente l’Unione europea attraverso i Ministeri e poi la parte dei terremoti nelle mani del commissario Legnini, ci sono filoni di finanziamento per gli enti e per le imprese, ma se chiedessimo in giro tra imprese ed enti, se sanno dei bandi usciti e già scaduti, quali saranno quelli in pubblicazione, se sono in grado di partecipare, se hanno gli strumenti e le strutture, imprese e Comuni rischierebbero di cadere vorticosamente dalle nuvole.
Questo immenso Piano miliardario di ripresa dovrebbe sostenere per lo più il sud, le donne, azzerare i divari di genere, territoriali e digitali e attraversare trasversalmente un Paese per innovarlo e cambiarlo ma dalle notizie che arrivano, la Sicilia ha già visto bocciare decine di progetti sulle politiche agricole. La Sicilia, secondo l’assessore regionale Toni Scilla, ha perso 500 milioni sui sistemi irrigui dei Consorzi di bonifica.
Su 63 progetti presentati solo 31 sono stati presi in considerazione.
Conosco tutti quei progetti e rispettavano nella quasi totalità dei casi i criteri del bando e i requisiti della cantierabilità previsti dal Pnrr, ha rilevato Dario Cartabellotta, direttore generale del Dipartimento alle Risorse agricole della Regione. Presentavano criteri di premialità in quanto destinati a zone interne con caratteristiche di siccità e rischio desertificazione. Ci dovranno spiegare, visto che non l’hanno fatto, perché dove piove di più e c’è meno bisogno di irrigazione arriveranno i soldi del Pnrr.
Dunque non solo l’attenzione alta su chi intercetterà le risorse, ma anche sui bandi che operano con criteri di selezione per cui, secondo il direttore Svimez Luca Bianchi, i Comuni siciliani si ritroveranno a competere con quelli del nord ma i Comuni siciliani hanno le risorse per avere una progettazione che possa reggere la competizione? A leggere i dati su dissesti e pre-dissesti non si direbbe.
Questione che nessuno prende ancora di petto e chi sa chi lo vorrà fare, perché poi oltre alle complessità tecniche delle 51 scadenze da raggiungere entro l’anno, della spesa da fare al centesimo entro il 2026, delle missioni, delle componenti e delle misure, e di tutta una costruzione teorica che invece di semplificare, ingarbuglia processi già complicati da gestire e rendicontare, c’è il Paese reale, e una buona parte di esso, il sud, che dovrebbe avere il 40% di tutto tra progettualità e bandi, rischia di restare alla finestra a guardare chi sarà più bravo a rispondere ai bandi. E mentre i bandi corrono, ancora non chiamano gli esperti che dovrebbero aiutare gli enti a fare bandi e progetti.