Con la sentenza n. 28 del 28 febbraio 2019 la Corte costituzionale, su ricorso della Presidenza del Consiglio dei ministri depositato il 28 marzo di un anno fa, ha dichiarato costituzionalmente illegittime le Norme a sostegno dell’economia circolare – Adeguamento Piano Regionale di Gestione Integrata dei Rifiuti, PRGR, della Regione Abruzzo.
Giudice relatore Augusto Antonio Barbera, avvocato dello Stato e per la Presidenza del Consiglio dei ministri, Maria Letizia Guida ed avvocato Stefania Valeri per la Regione Abruzzo.
La Presidenza ha sostenuto che la disposizione violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, la disciplina dei rifiuti, infatti, attiene alla materia tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, di esclusiva competenza dello Stato, cui spetta pertanto la fissazione di livelli minimi di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale.
In tal senso, l’art. 199 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, Norme in materia ambientale, prevede che per l’approvazione dei Piani regionali si applichi la procedura in materia di Valutazione Ambientale Strategica, VAS, previa acquisizione dei pareri degli enti territoriali coinvolti e con le opportune forme di partecipazione al procedimento di tutti i soggetti interessati; secondo il ricorrente, pertanto, la legge statale avrebbe implicitamente, ma chiaramente, previsto che lo strumento per l’adozione del Piano regionale sia costituito da un atto amministrativo e non da una legge, onde consentire una compiuta valutazione degli interessi ambientali ad esso sottesi, di cui dare conto nella motivazione dell’atto conclusivo.
Con una seconda censura la Presidenza del Consiglio dei ministri ha poi dedotto la violazione di altre norme statali che fissano precisi criteri di riparto delle funzioni amministrative in materia di gestione dei rifiuti, come la stima del fabbisogno di incenerimento per ogni Regione, necessario a chiudere il ciclo dei rifiuti con la minimizzazione del ricorso alla discarica, in misura che può essere, se del caso, modificata soltanto in occasione di adeguamento del Piano regionale, ovvero in presenza di motivate e documentate necessità. Ad avviso del ricorrente ci sarebbero previsioni di smaltimento non plausibili e motivate in termini inadeguati.
Con un terzo profilo di censura, infine, il ricorrente ha sostenuto che il Piano regionale, prevedendo un ingente ricorso allo smaltimento in discarica in sostituzione dell’incenerimento con recupero energetico, pure previsto dal Decreto della Presidenza del Consiglio, del 10 agosto 2016, si porrebbe in contrasto con la gerarchia dei rifiuti stabilita dall’art. 179, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006, con conseguente ulteriore violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
La Regione Abruzzo si è costituita in giudizio deducendo l’infondatezza del ricorso, analizzando anche la quantità e la tipologia dei rifiuti da trattare per cui l’ente avrebbe la capacità di smaltimento chiesta dalla norma.
La Corte Costituzionale ha ritenuto la prima questione fondata.
Il Piano dev’essere approvato previa acquisizione ed elaborazione di dati tecnici concernenti tipo, quantità e fonte dei rifiuti, con l’espressa indicazione dei criteri per l’individuazione dei siti di smaltimento o di recupero, applicando la procedura in materia di VAS, con il rilascio dei pareri di Province, Comuni ed Autorità d’ambito, la partecipazione del pubblico e degli interessati, l’indicazione delle motivazioni sulle quali si è fondato il Piano. Invece il legislatore abruzzese ha adeguato in forma di legge il Piano regionale di gestione integrata dei rifiuti, omettendo di dar corso all’adeguata valutazione dei diversi interessi coinvolti nella materia così come previsto dal legislatore statale, e perciò derogando ad una previsione finalizzata alla tutela dell’ambiente, sussistendo il denunciato vizio di legittimità costituzionale. Che andrebbe a colpire anche la precedente norma regionale, la n.45 del 2007, perché è all’origine del vizio in quanto quella attuale ne era un aggiornamento. La fondatezza della prima questione, di carattere dirimente perché concerne la forma dell’intervento regionale, scrive la Corte nella sentenza, comporta l’assorbimento delle restanti ragioni di censura, che ineriscono ai contenuti del Piano regionale dei rifiuti. Quindi tutto da rifare.