L’articolo nove della Costituzione Italiana come fondamento dell’identità nazionale: “…tutela il paesaggio e il patrimonio storico artistico della Nazione”.
È materia esclusiva dello Stato mentre alle Regioni e ad una pluralità di soggetti compete, in concorrenza, la valorizzazione come recita il successivo art. 117 della Costituzione.
Lo Stato agisce attraverso il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per mezzo delle sue articolazioni periferiche: le Soprintendenze.
La creazione del Ministero nel 1975 fu una felice intuizione dell’on. Giovanni Spadolini, la cui grande cultura non può essere oggetto di discussione, e il fondamento giuridico s’innestò sulle basi solide della Legge 1089 del 1939 opera normativa ed organica di Giuseppe Bottai, altro monumento di cultura.
Grandi tecnici, studiosi illustri e agili interventisti hanno diretto le Soprintendenze Abruzzesi (artistico-monumentali ed archeologiche): Matthiae, Delogu, Moretti e Mancini o archeologi del calibro di Cianfarani e Scichilone, solo per citarne alcuni.
Hanno garantito per decenni la tutela del patrimonio attraverso il restauro, la creazione di musei e la ricerca.
Una volontà riformista, negli ultimi decenni, ha voluto a tutti i costi più e più volte ridisegnare la Legge istitutiva di Bottai attraverso una rilettura normativa e vieppiù organizzativa ridisegnando gli ambiti di competenze, la struttura centrale e quella periferica che non ha migliorato l’azione e l’efficacia, ma ha disperso forze, energie, capacità, incanalando un esodo forzato delle professionalità a servizio della cultura.
Il cosiddetto Codice dei Beni Culturali del 2004, tuttora vigente, ha raccolto tutto il lavoro precedente, in tema di revisione normativa alle volte necessaria a meglio definire il concetto di bene culturale, ma le “riorganizzazioni interne” al Ministero che hanno accompagnato ogni spirito riformatore, sono state il terreno del più bieco interesse politico e spartitorio, ridisegnando, accorpando ed espandendo le Soprintendenze, creando nuove Direzioni generali.
Le autonomie dei musei, la creazione delle Direzioni regionali, in seguito la loro revisione il tutto in un vortice che non teneva in nessun conto la realtà fattuale delle necessità operative e dell’età avanzata degli operatori che erano in procinto di andare in quiescenza.
Risultato: gli organici al lumicino e le competenze in materia di restauro e di procedure disperse.
Il sisma dell’Aquila del 2009, che ha rovinato il patrimonio artistico e monumentale di una vasta area del territorio, ha coinciso con l’acme di questa volizione riformatrice innescando un combinato disposto: necessità di recupero del patrimonio/centrifugazione delle competenze e del personale.
I primi anni dal sisma hanno visto le Soprintendenze abruzzesi in prima linea, con i propri dirigenti e con il proprio personale far fronte alle necessità della ricostruzione sia pubblica che privata recitando un ruolo fondamentale tecnico, professionale e di responsabilità che ha consentito l’abbrivio della ricostruzione.
Di questo si deve essere grati sempre alle Soprintendenze.
Dopo i primi anni di grande fermento le riforme, accompagnate dal blocco del turnover, hanno cominciato a produrre i nefasti frutti innestati nella collaterale riforma della legge dei contratti pubblici, la cui disciplina affidata al controllo del “rottweiler” Anac, ha modificato la specificità dell’intervento sui beni culturali riconducendola al pari dei tratti fognari anch’essi comunque degni di attenzione.
I numerosi pensionamenti nel Ministero hanno ridotto il personale e con esso le professionalità acquisite nei decenni senza sostituzione se non con qualche reclutamento fuori concorso, che non può supportare una ricostruzione dei beni culturali così vasta ed articolata come quella del cratere aquilano.
Non c’è necessità di citare tutti i monumenti della città e del cratere, che sono la maggior parte, non ancora attinti da alcun intervento, sarebbe alquanto inutile, perché è all’attenzione di tutti coloro che hanno voglia di interrogarsi, ma è interessante sviluppare le motivazioni che hanno condotto ad una gestione della tutela oramai insostenibile rispetto al dettato costituzionale così prescrittivo da suscitare suggestioni e legami tra patrimonio e “comunità nazionale”.
Per ora dovremmo affidare al Popolo Aquilano e per esso al Sindaco ed alla Sua Amministrazione il compito di gridare allo scandalo e di richiedere giustizia per il nostro patrimonio a chi ha l’alto compito di tutelarlo.
*di Vladimiro Placidi