02 Apr 20

New York, New York…

2 Aprile. Uno degli effetti più deleteri di questo virus è il riemergere di anacronistici nazionalismi che travalicano il pur genuino amor patrio che si manifesta durante una crisi. E’ il capolavoro della pandemia o di chi la gestisce, dei media che sono tanto zelanti nel raccontarci cosa non va negli altri paesi quanto sboccacciati nel dirci cosa va nel nostro. Si alimenta quotidianamente questa competizione tra popoli che in realtà, mai come prima, si trovano sulla stessa barca.

A proposito di barche, il Saturnia, negli anni 20, fu il transalantico che portò nonno Italo e zio Remo a Ellis Island, nella New York oggi epicentro della diffusione del Covid-19. I miei nonni abitavano nel nord del Bronx, Eastchester, un quartiere della classe lavoratrice italiana e oggi per lo più afroamericano, molto comodo, a due passi da casa c’era il capolinea della leggendaria linea 5 della metro, quella che da lì, solo dopo aver mangiato una pizza da Mario (nella foto), attraversava tutto il Bronx, l’Upper Manhattan e ti lasciava a Grand Central Station oppure ti portava fino a Brooklyn. Poche le raccomandazioni di mamma per non essere scambiati per turisti, mai prendere il treno di ritorno troppo tardi dopo l’ora di punta, mai tirare fuori la macchina fotografica, non fissare i grattacieli.

Oggi New York è spettrale, i miei parenti sono in quarantena, esattamente come noi e alla prese con le stesse identiche discussioni, preoccupazioni e polemiche nostrane. Mia cugina Lia, ad esempio, vive ad Harlem, è in smart working come chiunque tranne i lavoratori essenziali, vi ricorda qualcosa?, molti, come nelle nostre grandi città, non capiscono che bisogna rimanere a casa il più possibile, gli ospedali sono pieni e chiedono mezzi per fronteggiare la crisi. Una nave ospedale dell’esercito viene usata per liberare gli ospedali dei casi no Covid e a Central Park è nato il primo ospedale da campo. Negli obitori non c’è posto e si usano camion refrigerati per conservare le salme delle vittime. New York è un posto pericoloso per un virus come questo, la nostra densità abitativa è semplicemente troppo alta, sottolinea mia cugina. La comunità si sta organizzando soprattutto per il blocco degli affitti, anche se gli sfratti per il momento non sono permessi. Qui molti hanno perso il loro lavoro adesso e gli affitti sono stellari, l’assegno che il governo dovrebbe inviare a stento coprirebbe un mese di locazione. Molti lavoratori stanno protestando e organizzando scioperi perché non hanno presidi medici di protezione. Un altro grosso problema è il sistema sanitario, che è basato sulle assicurazioni private o i programmi di intervento statale. Chi non ha un’assicurazione, continua mia cugina, adesso viene accettato in ospedale per questa crisi, ma le fatture rischiano di essere astronomiche e molti rinunciano al ricovero. Anche una semplice corsa in ambulanza può costare centinaia di dollari.

Chi ha un’assicurazione deve sperare di averne tra le più decenti. Molte prevedono dei deductibles, una somma minima che devi pagare prima che la copertura assicurativa entri effettivamente in gioco, quelle più costose coprono tutto mentre quelle più economiche potrebbero avere anche una copertura nulla sui costi di un eventuale ricovero per il Covid. L’assicurazione di mia cugina, che ha attraverso il suo datore di lavoro, è tra quelle buone, ma non tutti i datori di lavoro la garantiscono, specialmente ai lavori a cottimo che guarda caso sono spesso i lavoratori essenziali in questo momento. Per quanto riguarda i test hanno almeno assicurato la loro gratuità ma, come in Italia, finché non hai sintomi molto gravi non ti fanno il test.

Mia zia è una fiera afroamericana, medico specializzata in malattie infettive, a New York il problema dell’Hiv è stato molto grande, ha due splendidi figli, uno 11 anni fa organizzò una raccolta fondi per la nostra città colpita dal sisma, vendendo magliette. Marlene lavora soprattutto in remoto adesso, in telemedicina, almeno fino a quando non c’è bisogno di fare esami del sangue o interventi sui più anziani o su persone con problemi di cuore o di immunodepressione.

Il virus non fa distinzione tra bianchi, neri, latini o asiatici, ma nelle zone più povere dove la percentuale di bianchi è ininfluente, c’è una grave mancanza di mascherine e sanificanti.

L’atmosfera è surreale e la sua metro per andare a lavoro è vuota. Insomma, tutto il mondo è un po’ paese, e come dice mia zia siamo un po’ abruzzesi e un po’ del Bronx, quindi in qualche modo tutto andrà bene.


*di Alessio Ludovici