Piazza Santa Maria Paganica è ormai un deposito di terreni da scavo, materiali edili e di vario genere. E’ un cantiere, mi hanno detto ieri alcuni operai al lavoro lì. Non c’è nessun cantiere, ed anzi, lo scheletro senza vita della chiesa abbandonata da un decennio non ha nulla intorno, se non materiali edili accatastati, alberelli e verde che cresce nell’originario portale d’ingresso, stracci telati volanti che svettano su un struttura sventrata a cielo aperto, con quel che resta della famosa protezione realizzata dall’allora vice commissario per i beni culturali, Luciano Marchetti. Costata peraltro, un milione e mezzo di euro. Sulla vicenda dei lavori, pende un procedimento giudiziario che dovrà definirsi.
Nel frattempo la chiesa cade a pezzi, nel vergognoso braccio di ferro tra la Curia e lo Stato. Quest’ultimo, secondo la norma del 2015, ha facoltà di far propri i progetti affidati a privati senza gara, ma la Curia dovrebbe accollarsi la differenza del costo sia per la cattedrale di San Massimo che per Santa Maria Paganica, visto che lo Stato riconoscerebbe compensi in favore dei progettisti, nella sola misura prevista dalle disposizioni in tema di contribuzione alle spese di progettazione nel campo della cosiddetta ricostruzione privata, scrive l’Avvocatura Distrettuale dello Stato, in risposta ad un parere chiesto dalla Sovrintendenza unica, il 19 febbraio 2016.
Ma da allora, nonostante le delucidazioni ed i chiarimenti non è stato fatto assolutamente nulla. Nonostante la disponibilità dei fondi e la possibilità di procedere, una volta avuto il parere, ed invece no, anzi, il sisma del 2016 ha causato ulteriori danni a San Massimo, ed altri puntellamenti lo scorso agosto per 300mila euro di soldi pubblici, accollati alla comunità.
Quanto può essere ragionevole ed accettabile una tale inerzia?
La Curia non ha risorse e non può pagare somme da capogiro per gli incarichi affidati, monsignor Giuseppe Petrocchi cercò di rivendicare i propri diritti, appena insediato vescovo, per ottenere il medesimo trattamento dei proprietari di palazzi nobiliari, che pure, commentò, hanno agito come tutti gli altri privati, in assoluta autonomia e senza gara ad evidenza pubblica alcuna, se non i cinque inviti introdotti dalla Legge Barca, ma il prelato non la spuntò.
Siamo a quasi tre anni dal parere dell’Avvocatura e nulla si muove, la tutela di due beni unici ed irripetibili quali San Massimo e Santa Maria Paganica, non è evidentemente la priorità di chi ha il dovere della salvaguardia, cioè la Sovrintendenza unica per L’Aquila ed il cratere, quanto piuttosto il prendere tempo, il cercare di contemperare interessi di fatto privati, cioè della Curia e dei progettisti, non riuscendo ad assumere una decisione una, per uscire da questa vergognosa palude.
Chi pagherà per il deperimento inevitabile di questi due beni irripetibili? E chi controlla che piazza Santa Maria Paganica cessi di essere magazzino di scarti e terriccio da scavo? L’unica cosa certa è che neanche per il 2019, partiranno i lavori né su San Massimo né su Santa Maria Paganica.