15 marzo, prima domenica di quarantena del paese. La mia compagna lavora e a casa quindi ci siamo organizzati così, appena si rientra c’è un’area pulita dove lasciare scarpe e giacche, quest’ultime le abbiamo lavate tutte, i pantaloni finiscono direttamente in lavanderia, sulla scarpiera ci sono disinfettate per le mani, salviette, alcol per pulire il cellulare, ogni giorno poi si va di vaporetto in tutt0 l’ingresso. Le docce si sono moltiplicate. Anche il mio bagaglio a mano si è man mano espanso, da chiave, cellulare e cane, sono passato alla zainetto con fornitura di guanti monouso, salviette umidificate, ecc. Perché? Perché sì, perché alla fine qualcosa dobbiamo pur fare. Perché rispetto le regole di distanziamento sociale, l’ho fatto anche prima che il governo le varasse, ma mi batterò per ogni centimetro di libertà che mi posso ancora permettere, non finirò davanti la tv, non guardo più serie, oggi mi occuperò del mio balcone e delle sue piante.
Mi sembra di essere tornato indietro dieci anni, le giornate sembrano di nuovo diventate interminabili, alle 11 di sera praticamente sono stanco morto e non so neanche il perché. Anche il quartiere dove abito mi ricorda cose già viste, quando subito dopo il sisma dormivo in una casa B di un nostro amico al Torrione e la sera dovevamo abbassare tutte le tapparelle per evitare di farci trovare, per comportamenti assurdi di chi passava sulla strada, circondati dalle forze dell’ordine.
O quando sono tornato in centro e la sera l’unico rumore di tutta la strada era una goccia d’acqua che cadeva da una canala di un edificio abbandonato.
Questa settimana al supermercato sono andato solo una volta, preferisco andare a piedi invece a prendere il pane o ad esempio ieri sono andato alla farmacia del Torrione, sempre a piedi. Sto cucinando più leggero perché stare in casa mi ha scombussolato la digestione nei primi giorni. Ovviamente porto il cane fuori e se posso faccio una corsetta, si, non è vietato, preferibilmente di notte per evitare di essere insultato dalla gente. E’ la quarantena bellezza, che un pò troppi italiani, passati in fretta e furia dalla totale superficialità alla delazione via social, stanno interpretando come stato di polizia.
Lo scopo è evitare i contatti non insultare il vicino che scende in totale solitudine a prendere una boccata d’aria, poi capita che gli stessi che fanno i giustizieri dalla finestra vanno tre volte al giorno al supermercato, poi al meccanico per problemi tutt’altro che indispensabili e così via.
La realtà è che tra le tante persone che vengono insultate quotidianamente sui social ce ne sono milioni che vanno a lavorare e lo fanno in condizioni di totale insicurezza al momento. Ieri il memorandum tra governo e parti sociali ha sostanzialmente demandato alle singole aziende la responsabilità, ora le regole generali però almeno ci sono, quello che manca cronicamente, però, sono i dispositivi per la sicurezza dei lavoratori e per la sanificazione degli ambienti.
Così sarà difficile tornare alla normalità in tempi brevi.
Qui al centrosud si trattiene il respiro, nei prossimi giorni sapremo finalmente quanto le misure prese hanno rallentato il contagio, quanto lo hanno accelerato le migrazioni di ritorno verso il sud o la disorganizzazione nei luoghi di lavoro. E’ l’Italia bellezza, quella povera come sempre, che ha dovuto sudare sette camicie per sfornare 25 miliardi di manovra, tanti, ma noccioline rispetto alle capacità di altri paesi, ad esempio la Germania. Andiamo avanti, pronti per la seconda settimana.
*di Alessio Ludovici