Se il cambiamento climatico continua incontrollato, i rischi di caldo, siccità e piogge abbondanti in tutta la Germania aumenteranno notevolmente in futuro. Il danno avrà un effetto a catena sugli ecosistemi che sono già fortemente inquinati, come suoli, foreste e corpi idrici, e sugli esseri umani e sulla loro salute. E’quello che è emerso dalla Klimawirkungs und Risikoanalyse 2021 (KWRA) für Deutschland, pubblicata un mese fa dal Ministero federale dell’Ambiente e dall’Agenzia federale per l’ambiente tedeschi.
Oltre 100 impatti di cambiamenti climatici e le loro interazioni esaminati, e l’allerta su 30, non sapendo che la Germania stava per essere investita da una serie di eventi climatici estremi culminati nel disastro che la sta ancora sconvolgendo in queste ore, con le ormai centinaia di morti, rileva greenreport.
Tobias Fuchs, responsabile clima e ambiente del Deutscher Wetterdienst, si era detto molto preoccupato, il cambiamento climatico sta avanzando. Le emissioni di gas serra stanno aumentando senza controllo. Le conseguenze sono chiare: la temperatura media annuale in Germania è già aumentata di 1,6° C, più che ovunque nel mondo. Ne stiamo sentendo gli effetti qui in casa nostra: il numero di giorni caldi con temperature massime superiori a 30° è quasi triplicato e le precipitazioni invernali sono aumentate del 27%. Come sarà il nostro futuro climatico? Nel peggiore degli scenari, entro la metà del secolo prevediamo che la temperatura media dell’aria in Germania aumenterà tra 2,3 e 3 gradi rispetto all’inizio dell’era industriale. Se le emissioni di gas serra aumenteranno continuamente e si stabilizzeranno a un livello molto alto, entro la fine del XXI secolo, le temperature qui potrebbe salire da 3,9 a 5,5 gradi.
Dirk Messner, presidente dell’Umweltbundesamtes, l’Agenzia tedesca per l’ambiente, aveva aggiunto, dobbiamo agire ora con il ripristino delle zone alluvionali, ridurre drasticamente l’inquinamento e l’eccessivo sfruttamento dell’acqua, del suolo e dell’aria e investire in un massiccio inverdimento degli spazi aperti ed edifici. Abbiamo bisogno di trasformare territori e città in modo che possano assorbire e rilasciare acqua come una spugna senza danneggiare ecosistemi, case e infrastrutture. Abbiamo bisogno di ridurre le superfici in asfalto o sostituirle con materiali da costruzione permeabili all’acqua, creare spazi aperti e verdi e ridurre l’uso del suolo il prima possibile. Molte di queste misure di adattamento non solo rafforzano gli ecosistemi, ma migliorano anche la qualità della vita e la salute delle persone.
Francesco Vincenzi, presidente dell’Associazione nazionale dei consorzi per la gestione e la tutela del territorio e delle acque irrigue, ANBI, ha espresso vicinanza alle popolazioni colpite dalle drammatica alluvione ma ricorda anche il dato certificato dal recente rapporto Ispra, tra il 2019 ed il 2020 in Italia sono stati cementificati 767 ettari all’interno di aree a pericolosità idraulica media e 285 in quelle a pericolosità franosa, incrementando notevolmente il pericolo idrogeologico in un Paese, dove già il 16,6% del territorio è mappato nelle classi a maggiore rischio, coinvolgendo la vita di circa 3milioni di nuclei familiari. Di fronte a questi dati e alle conseguenze dei cambiamenti climatici, ribadiamo la necessità di approvare urgentemente la legge contro il consumo indiscriminato di suolo, che giace nei meandri parlamentari dal 2013, al tempo del Governo Monti.
E Massimo Gargano, direttore generale ANBI aggiunge, attraverso il nostro Osservatorio sulle Risorse Idriche stiamo documentando settimanalmente l’inaridimento di ampie zone del territorio italiano, vale a dire l’altra faccia di uno stesso fenomeno: l’estremizzazione degli eventi atmosferici. E’ pertanto indispensabile avviare un piano straordinario di manutenzione del territorio, adeguando la rete idraulica alla mutata fenomenologia meteorologica, per evitare di vivere sei mesi con il rischio alluvioni ed altrettanti con il rischio siccità. Con questo obbiettivo ANBI ha proposto l’inserimento di 858 progetti cantierabili nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza; l’investimento richiesto è di circa 4miliardi e 339 milioni, capaci di attivare oltre 21mila posti di lavoro.
Quello accaduto in Germania e in Belgio è un vero disastro climatico, dove in pochi giorni è caduta la pioggia che un tempo scendeva in due mesi e dove il bilancio provvisorio è arrivato già a oltre 100 morti e più di 1.300 dispersi.
Nemmeno la Germania, che da anni ha avviato politiche per ridare spazio ai fiumi, è al sicuro dalle conseguenze peggiori del cambiamento climatico. Non c’è più tempo e l’azione climatica va accelerata a ritmi esponenziali se vogliamo evitare le conseguenze più pericolose e ingestibili, rileva infine a greenreport WWF Italia. L’azzeramento delle emissioni, mitigazione, va attuato nel più breve tempo possibile, ben prima del 2050, e nel contempo vanno messe in campo le politiche di adattamento. Dobbiamo immediatamente rendere operativa una politica basata sul ripristino degli ecosistemi fluviali e sul recupero degli spazi che abbiamo rubato ai fiumi. Dal dopoguerra ad oggi, nel nostro Paese, abbiamo tolto ai fiumi circa 2mila kmq, un’enormità di spazio e le conseguenze di questo saranno sempre più devastanti.
Il Wwf sollecita il grande piano di ripristino ambientale, come chiede anche la Strategia Europea per la Biodiversità che impegna gli Stati a rinaturalizzare e riconnettere almeno 25mila km di fiumi entro il 2030. Per questo WWF Italia e ANEPLA, hanno promosso un grande progetto per la rinaturazione del Po, ora nel PNRR italiano, proprio per recuperare spazio al grande fiume, ripristinarne i servizi ecosistemici e tutelarne la biodiversità.
Quella del clima, insieme alla perdita della biodiversità, è ormai la vera crisi che tutti i Governi devono affrontare. Per armonizzare le politiche nazionali sul clima, WWF, Greenpeace, Legambiente, Kyoto Club e Transport&Environment presenteranno una proposta per una legge sul clima in Italia che sarà illustrata nel webinar su zoom, In Italia ci vuole una legge sul clima: proposta degli ambientalisti a Governo e parlamentari, che si terrà martedì 20 luglio alle ore 15.30.
Taglio emissioni, i primi risultati tra decenni
Se in Italia spesso i danni sono provocati dalla poca manutenzione del territorio, in Germania, dove invece l’attenzione su questo è alta, è un terzo fattore dell’equazione che può aver inciso sui danni, quello dell’esposizione dei beni cioè, dove vengono costruiti gli immobili e le infrastrutture. Nella progettazione infatti si ragiona sulle statistiche e generalmente si costruisce dove non ci sono state calamità. Considerando però che le cose stanno cambiando velocemente, si dovrebbe cambiare modo di decidere dove costruire, con modelli previsionali che ragionano sul futuro, spiega a Il Messaggero, Antonello Pasini, fisico del clima all’istituto sull’Inquinamento Atmosferico del CNR.
Un po’ tutta l’Italia è a rischio a causa delle ondate di calore e dei fenomeni collegati, dalle città alle campagne, ma questo sempre per la poca attenzione dell’uomo a un territorio. Città fragilissime sono Genova e Messina che hanno tombato interi torrenti e con le piogge più intense rischiano alluvioni e danni ma è la maggior parte delle città italiane è a rischio perché si è cementificato molto e si è asfaltato tantissimo e questo impedisce all’acqua di penetrare nel terreno. E poi ci sono pochi alberi, spesso abbandonati a se stessi, che gli eventi climatici fanno cadere. Senza dimenticare le campagne, soprattutto quelle abbandonate, il disboscamento e le costruzioni vicino ai fiumi.
In questo quadro, il Green deal europeo molto duro appena approvato dalla Commissione può davvero invertire la rotta visto che l’Europa costituisce poco più dell’8% delle emissioni globali? E’ la domanda.
Da sola l’Europa sicuramente non basta, conclude Pasini, ma in questo momento si stanno muovendo anche la Cina e gli Stati Uniti e questo può innescare un cambiamento globale o meglio, può rallentare il riscaldamento globale ma non si può tornare indietro. Per questo non c’è altra strada al taglio delle emissioni. Che da sole comunque non bastano e dovremmo convivere con questi fenomeni per anni. Per questo, oltre al taglio della CO2 dovremmo adattare il territorio ai sempre più frequenti fenomeni climatici. Tenendo conto, aggiunge l’esperto Giuliacci, che il taglio delle emissioni non farà sparire di colpo la CO2 accumulata nell’aria e i primi risultati si vedranno solo fra qualche decennio.