Dietro molti acquisti a basso costo, anche del Black Friday, si nasconde un prezzo molto alto per l’ambiente. Dietro il costo molto basso che paghiamo per portare a casa quel capo, ricorda il WWF, si nascondono infatti l’utilizzo di materie prime di bassa qualità e additivi chimici, elevate emissioni di gas serra, l’utilizzo e lo spreco di risorse come suolo e acqua e l’inquinamento delle falde acquifere e degli ecosistemi acquatici, ma anche lo sfruttamento di lavoratori che spesso vivono dall‘altro capo del mondo.
Negli ultimi 20 anni, il tempo di utilizzo dei vestiti è diminuito del 36%, con ogni capo utilizzato in media solo sette o otto volte. Ogni anno in Europa vengono buttati via circa 5 milioni di tonnellate di indumenti, circa 12 kg a persona che finiscono negli inceneritori e nelle discariche, dentro e fuori l’Europa. Si stima che solo l’1% di tutti i vestiti in Europa venga riciclato in nuovi prodotti.
La produzione e il consumo di tessili sono direttamente collegati al degrado del suolo, alla conversione di ecosistemi naturali in terreni coltivati, all’inquinamento, al cambiamento climatico e alla perdita di biodiversità. L’industria tessile è al quarto posto per l’impatto ambientale, dopo la produzione alimentare, l’edilizia e la mobilità. Per produrre i capi di abbigliamento, le calzature e i tessili per la casa acquistati dalle famiglie europee, infatti, vengono utilizzate circa 175 milioni di tonnellate di materie prime primarie, pari a 391 chili ad abitante, di cui il 40% è attribuibile ai vestiti. Questi dati classificano il tessile come il quinto maggior settore di consumo in Europa, spiegano gli attivisti, in termini di utilizzo di materie prime e primarie.
La produzione di tessili richiede anche grandi estensioni di terreno: ogni anno sono necessari 180mila chilometri quadrati, di cui solo l’8% in Europa. Oltre il 90% del consumo di suolo avviene fuori, soprattutto in Cina e India. Il settore tessile diventa così il terzo maggiore utilizzatore di suolo, dopo il la produzione alimentare e il settore abitativo. A persona il consumo di tessili richiede 400 m2 di terreno, 9 m3 di acqua, 392 kg di materie prime e l’emissione di 270 kg di CO2.
In fase di progettazione dei capi, tuttavia, un’attenta selezione della qualità dei materiali aumenta la resistenza e la solidità del colore, garantendone la durata e la riparabilità dei tessuti, quindi la loro longevità. Il passaggio a un modello di business sostenibile, che ottimizzi l’uso delle risorse è oggi più che mai necessario, insieme all’aumento del riutilizzo e riciclo dei materiali. Anche i consumatori possono fare la loro parte acquistando il giusto, facendo più attenzione al design senza tempo, il vintage non passa mai di moda, alla cura del prodotto e all’offerta di servizi di riparazione.
Questo Natale il WWF ha lanciato la nuova linea di maglioni, sciarpe e cappelli a tema natalizio in lana 100% riciclata e sostenibile, dal design esclusivo e realizzata in collaborazione con Rifò, azienda che crea capi e accessori di alta qualità, utilizzando fibre tessili rigenerate e riciclabili. In particolare, i vecchi indumenti da cui è ricavata la lana per la realizzazione dei capi WWF vengono selezionati per colore, perciò non è necessaria una nuova tintura che rappresenta il processo più impattante di tutta l’industria della moda.
Questo tipo di produzione permette di risparmiare il 99% di acqua, il 76% di energia e il 92% di CO2.