È terminata la campagna di perforazione del Calderone sul Gran Sasso, ultimo esempio del glacialismo della catena appenninica. Gli scienziati hanno per la prima volta a disposizione un campione di ghiaccio profondo dal glacio-nevato, la cui analisi chimica permetterà di ricostruire il passato climatico e ambientale del massiccio e delle regioni circostanti, informa una nota stampa. La missione, nell’ambito del progetto internazionale Ice Memory, è stata organizzata dall’Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isp) e dall’Università Ca’ Foscari Venezia, in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), l’Università degli Studi di Padova e le società Georicerche srl e Engeoneering srls.
La spedizione, inizialmente condizionata dal maltempo, è durata 12 giorni ed è stata possibile grazie al Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, che ha messo a disposizione mezzi e personale dei reparti Volo di Pescara e Roma Ciampino per raggiungere la conca del ghiacciaio, ai piedi del Corno Grande, a 2mila 673 metri di quota. Mentre il personale e i materiali più leggeri sono stati trasportati con un elicottero di ultima generazione AW-139, la macchina carotatrice, del peso di 4mila 500 chili, è stata portata fin sul Calderone dall’Erickson Air Crane S -64, la ‘gru volante’ del Dipartimento dei Vigili del Fuoco, Soccorso pubblico e Difesa civile, in grado di sostenere carichi pesanti fino a 9mila chili. Le operazioni sono state agevolate dall’apertura straordinaria del rifugio Franchetti, di proprietà del Club alpino italiano (Cai) di Roma, dal supporto operativo da parte del Soccorso alpino abruzzese e del Comune di Pietracamela.
Il carotiere ha toccato la roccia basale del glacio -nevato del Gran Sasso a 27,2 metri di profondità, aggiornando la stima di 26 metri realizzata dallo stesso team nelle settimane scorse, grazie alle indagini geofisiche che hanno permesso di individuare il punto più promettente per la perforazione.
La perforazione è stata piuttosto difficoltosa, spiega Jacopo Gabrieli, ricercatore Cnr -Isp e coordinatore sul campo della missione, sia per le condizioni meteorologiche spesso molto dure, sia perché il ghiaccio era plastico, ossia estremamente caldo e intriso d’acqua, e la punta del carotiere tendeva a impastarsi, non riuscendo ad inciderne la superficie.
Il Dipartimento ha colto da subito la rilevanza scientifica del progetto Ice Memory, assicurando la massima collaborazione al Cnr, con personale altamente formato e l’impiego di elicotteri, in grado di svolgere complesse e rischiose operazioni in alta quota, sottolinea il prefetto Laura Lega, capo Dipartimento Vigili del fuoco. Anche con attività del genere si consolida ulteriormente il ruolo del Corpo nazionale, sempre pronto a confrontarsi con nuove sfide ed innovazioni tecnologiche che possano, come in questo caso, contribuire alla tutela ambientale, consegnando al futuro parte della ‘memoria climatica’ del nostro Paese e, con esso, l’elevatissima professionalità ed abnegazione dei Vigili del Fuoco italiani.
Campione dopo campione, i ricercatori hanno esplorato la profondità del Calderone.
Sotto una coltre di detriti, abbiamo via via incontrato un ghiaccio sempre più ‘pulito’ ma diverso da quello dei ghiacciai alpini a causa delle particolari condizioni termiche dei diversi strati, prosegue Gabrieli. Attraverso mirati studi di laboratorio, cercheremo di definirne le caratteristiche e di acquisire le informazioni chimiche e isotopiche conservate, se disponi bili. Nella parte mediana del profilo abbiamo verificato la presenza di residui vegetali e di insetti, la cui datazione potrà aiutare a comprendere quando si è accumulato il ghiaccio circostante.
Questa spedizione era una scommessa, non sapevamo cosa avremmo trovato in profondità nel Calderone, che ogni anno perde circa un metro di spessore, commenta Carlo Barbante, direttore Cnr-Isp, professore all’Università Ca’ Foscari Venezia e co ideatore del programma internazionale Ice Memory. La carota estratta sembra avere tutte le carte in regola per poter ricavare importanti informazioni sulla storia climatica e ambientale dell’Italia centrale e dell’intero bacino del Mediterraneo. Un archivio ambientale davvero unico che già a un primo sguardo presenta caratteristiche glaciologiche molto interessanti.
Una volta terminata la fase preliminare di analisi dei campioni e verificata la conservazione della stratigrafia e dei segnali climatici ed ambientali, la carota sarà messa a disposizione del programma internazionale Ice Memory e quindi trasferita presso il sito di stoccaggio di DomeC, in Antartide.
Le attività sul Calderone sono parte di una serie di spedizioni per lo studio e la conservazione dei ghiacciai italiani finanziate dal Ministero dell’Università e della Ricerca, con il Fondo Integrativo Speciale per la Ricerca, Fisr e con il supporto di AKU e KARPOS.
Il Calderone rappresenta l’ultimo esempio del glacialismo della catena appenninica, nonché il corpo glaciale più a sud d’Europa. Frammentato in due unità nel 2000, il Calderone è una fotografia iconica ed ormai unica del glacialismo mediterraneo. Le due porzioni sono state declassate da ghiacciai a glacio-nevati, formazioni di neve e ghiaccio senza alcun tipo di movimento verso valle, caratteristica tipica degli ecosistemi glaciali ancora dinamici e vitali. Il Calderone rappresenta uno straordinario esempio di come le micro condizioni locali possano fare la differenza tra la conservazione o la scomparsa degli strati di ghiaccio. L’esposizione a settentrione e la geomorfologia delle ripide pareti rocciose che circondano il circolo glaciale garantiscono ancora buoni apporti ventosi e valanghivi durante la stagione invernale. Tuttavia, le elevate temperature estive causano la fusione di quasi tutta la neve stagionale e parte del ghiaccio sottostante. La conservazione degli strati di ghiaccio più profondi è tuttavia ancora agevolata da una coltre detritica superficiale che protegge il ghiaccio sia dalle elevate temperature che dall’intenso irraggiamento estivo. Nonostante questo eccezionale isolamento termico, il glacio-nevato del Calderone si riduce in spessore anno dopo anno. La campagna di indagini geofisiche, effettuata nel marzo 2022, ha avuto come obiettivo principale quello di determinare l’attuale spessore residuo del corpo glaciale, con una profondità massima di 26 m, nonché la stratigrafia della massa glaciale e copertura detritica. Tassi di fusione così elevati impongono una rapida conservazione del poco ghiaccio ancora presente prima che le informazioni climatiche in esso conservate vengano perse per sempre.
Progetto internazionale Ice-memory
Ice Memory è un programma internazionale che ha l’obiettivo di fornire, per le decadi e i secoli a venire, archivi e dati sulla storia del clima e dell’ambiente fondamentali sia per la scienza sia per ispirare le politiche per la sostenibilità e il benessere dell’umanità. Ice Memory ambisce a federare le comunità internazionali scientifica e istituzionale per creare in Antartide un archivio di carote di ghiaccio dai ghiacciai attualmente in pericolo di ridursi o scomparire. Gli scienziati sono convinti che questo ghiaccio contenga informazioni di valore tale da richiedere attività di ricerca anche su campioni di ghiacciai scomparsi.
Per Ice Memory, quella sul Calderone è la quarta missione sui ghiacciai alpini dopo quella del 2016 sul Monte Bianco, del 2020 sul Grand Combin e del 2021 sul Monte Rosa. Altre spedizioni internazionali hanno permesso di mettere al sicuro gli archivi dei ghiacciai Illimani (Bolivia), Belukha e Elbrus (Russia).
Ice Memory è un programma congiunto tra Università Grenoble Alpes, Università Ca’ Foscari Venezia, Istituto nazionale francese per le ricerche sullo sviluppo sostenibile (Ird), Cnrs, Cnr, e con Istituto polare francese (Ipev) e Programma nazionale per le ricerche in Antartide (Pnra) per quanto riguarda le attività alla stazione Concordia in Antartide. Ice Memory ha il patrocinio delle commissioni italiana e francese dell’Unesco.