Siamo dunque nel secondo scenario di chiusura ipotizzato dall’Istituto superiore di Sanità. Siamo in mezzo, oltre c’è l’ultimo, quello rosso, siamo ora al livello di mini lockdown e ad evitare il più possibile la mobilità delle persone. Sì, evitare significa proprio questo, evitare, cioè se non è necessario meglio stare a casa. Ed è meglio stare a casa perché più entriamo in contatto con gli altri più rischiamo un contagio e più andremo a metterci in fila fuori l’ospedale civile San Salvatore, ormai saturo, ad invocare il diritto sacrosanto all’assistenza pubblica.
Perché poi quelli che in questi giorni negano la scienza, negano quel poco di numeri che abbiamo, quelle poche info che riusciamo a capire, saranno i primi a puntare il dito contro chi crede ancora in una missione e nella sanità pubblica, lamentandosi delle file. Dunque diamoci una regolata, perché se un sistema non sta funzionando, non vuole dire che la situazione non sia grave, anzi gravissima.
Nel secondo scenario dell’Istituto superiore di Sanità, che non è quello di Ninnittu ju scarparo, ci siamo arrivati con un indice di trasmissibilità di 1.5. La media italiana del contagio per cui Conte ha firmato il nuovo decreto, ed è il valore anche d’Abruzzo, il limite, il codice arancione. Con questo indice, 1.5, una persona infetta ne può contagiare una e mezza e l’Istituto superiore di Sanità, in questo caso, ha previsto restrizioni nelle attività non essenziali, nella mobilità e una drastica riduzione delle interazioni fisiche.
Ci piace non ci piace non lo so, avremmo potuto pensarci prima a scendere in piazza, quando protestare, l’estate scorsa, sarebbe stato perfino più sicuro, invece no, siamo stati in fila per i traghetti, scossi dallo stress del lockdown e tirati a lucido in centro, in tutti i centri storici del mondo, non ultimo quello dell’Aquila, a ordinare martini cocktail e shortini, quelli che chiudono le belle serate in compagnia. Ce lo hanno detto in tutte le lingue di stare attenti, non siamo stati attenti, nessun esercente s’è incatenato perché il collega più su tollerava l’assenza più totale di mascherine/distanza o l’ombrellone a mezzo metro dall’altro piuttosto che a quattro. Ed eccoci qua a fare gli scienziati sulla cena piuttosto che sul pranzo fuori. D’altra parte tutti abbiamo conosciuto le orde di professionisti a fare indianate prima di andare a pranzo fuori e a passarsi la boccia da cinque litri in piazza, dalle 15.30 fino al pomeriggio inoltrato, no?
Siamo perfino riusciti a fare l’Oktoberfest a Paganica, cioè a Monaco di Baviera hanno detto quest’anno meglio di no, e noiatri lo semo fatto a Paganica scatenando, insieme al relax estivo, l’apocalisse dei contagi e questo ci tocca e tocca pure a chi, diciamocelo con un po’ di fegato ingrossato, fa sacrifici da marzo senza fare una piega invece di acideggiare ignorantemente sui social o col vicino di casa trasudando scienza sfusa.
Se non ci diamo una regolata, perché queste settimane dovrebbero servire a far scendere quell’1.5, la soglia pericolosa continuerà a salire conducendoci al terzo scenario. Quello rosso. Quando la trasmissibilità del virus non sarà più controllata, e lo dice sempre l’Istituto superiore di Sanità e non la cantina della zozza o la baffetta, con criticità della tenuta del sistema sanitario nel breve periodo, il che, significherebbe lockdown totale.
Alcune Regioni sono già ben oltre l’1.5. La soglia critica si supera quando il 30% dei posti disponibili in terapia intensiva risulta occupato da malati di coronavirus. Questo limite, rileva il dibattito scientifico che si basa sui numeri, a questo ritmo esponenziale di contagio sarà raggiunto ai primi di novembre. Da quella data non riusciremo più a salvare tutti i malati gravissimi, manca personale specializzato, i medici dovranno scegliere chi curare, chi strappare alla morte lasciando al proprio destino gli altri, presumibilmente gli anziani.