Non c’è ancora una carta ufficiale che certifichi la sicurezza della mascherina di comunità. Ce ne sono di mille tipi sul mercato, possiamo cucirle in casa, comprarle a 10 20 euro ma non sappiamo ancora se sono utili a difenderci. Un tavolo s’è insediato appena lunedì scorso per scrivere Linee guida su requisiti, metodi di prova e valutazione di conformità delle mascherine “generiche” di comunità. Al tavolo siederanno esperti UNI, Ente Italiano di Normazione e Politecnico di Torino.
Si tratta di tutte quelle mascherine – monouso o lavabili, anche autoprodotte – che ora, e nei prossimi mesi nella cosiddetta Fase due di convivenza con il virus, milioni di italiani saranno obbligati ad indossare. Protezioni individuali che non hanno alcuna prestazione tecnica garantita e non vi sono riferimenti normativi che ne identificano requisiti e caratteristiche. Al momento vi è una sorta di vuoto di regolamentazione, che coinvolge sia le imprese italiane, che per rispondere alla crescente domanda di mascherine hanno convertito la propria produzione per realizzarle, e sia le importazioni dall’estero, confessa ufficialmente UNI, che pure rappresenta lo Stato italiano nei più importanti tavoli di certificazione europei.
Quindi noi continuiamo a comprare da mesi tutte le mascherine che riusciamo a trovare sotto la spinta di Domenico Arcuri e dei suoi 50 cent a pezzo, come da ordinanza, siamo obbligati a metterla, ma nessuno sa dire se sarà mai certificata e come mai non è stata ancora certificata.
Obiettivo di UNI e dell’ateneo torinese è definire i requisiti prestazionali di questa tipologia di mascherine, metodi di prova e di valutazione della conformità e quindi facilitare una scelta di acquisto consapevole e responsabile da parte dei cittadini, garantendo così le prestazioni di un prodotto che accompagnerà la ripresa e la vita quotidiana di tutti per molto tempo, scrive ancora UNI.
Tutto ciò accade l’11 maggio 2020. A quattro mesi dallo stato d’emergenza proclamato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri.
Potrebbero servirne un miliardo al mese dicono gli esperti, commenta il presidente UNI Piero Torretta. Le mascherine di comunità, monouso o lavabili, secondo il Dpcm del 26 aprile 2020 possono essere anche autoprodotte, ma devono garantire adeguata barriera e assicurare confort, respirabilità, aderenza adeguata.
E quando ce lo dite? Le cuciamo in casa, le produciamo in azienda, ci riconvertiamo e non sappiamo nemmeno se venderemo un prodotto conforme oppure ci resterà sul groppone dei costi?
L’avvio dei lavori con il Politecnico di Torino per una prassi di riferimento sulle mascherine di comunità, conclude Torretta, ha lo scopo di fornire linee guida sui requisiti che soddisfino le indicazioni del Cura Italia e offrire, con spirito di servizio, ai produttori e alle persone che le utilizzeranno, riferimenti certi per garantire la conformità alle finalità di tutela della salute a cui le mascherine di comunità sono indirizzate.
E questo è quanto. Finora gli unici dispositivi certificati dal Ministero della salute sono le mascherine chirurgiche che devono essere prodotte a norma UNI EN 14683:2019 che prevede caratteristiche e metodi di prova, indicando requisiti di resistenza a schizzi liquidi, traspirabilità, efficienza di filtrazione batterica e pulizia da microbi.
Ed i facciali filtranti/mascherine FFP2 e FFP3. Utilizzati in ambiente ospedaliero e assistenziale per proteggere da agenti esterni, anche da trasmissione di infezioni da goccioline e aerosol, e sono certificati ai sensi del d.lgs. n. 475/1992 e sulla base di norme tecniche, come la UNI EN 149:2009, che specifica i requisiti minimi per le semimaschere filtranti utilizzate come dispositivi di protezione delle vie respiratorie.
Questo dice il Ministero della Salute, sulle norme tecniche per la produzione di mascherine.
Ogni altra mascherina reperibile in commercio, diversa da quelle sopra elencate, non è un dispositivo medico né un dispositivo di protezione individuale; può essere prodotta ai sensi dell’art. 16, comma 2, del D.L. 18/2020, sotto la responsabilità del produttore che deve comunque garantire la sicurezza del prodotto e cioè che i materiali utilizzati non sono noti per causare irritazione o qualsiasi altro effetto nocivo per la salute, non sono altamente infiammabili, ecc… Per queste mascherine, aggiunge il Ministero, non è prevista alcuna valutazione dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’Inail.