13 Apr 22

10mln di euro, l’ossessione di Shankar

Sta passando praticamente sotto silenzio una pesantissima condanna per danno erariale della Corte dei Conti su una questione molto dibattuta nel post sisma, e cioè la ripresa del polo elettronico e la riassunzione dei lavoratori da parte della misteriosa compagine societaria, Accord Phoenix spa, che avrebbe dovuto insediarsi con un cospicuo contributo pubblico a fondo perduto, pari a 10mln e 725mila euro, e trattare il recupero di materiali elettrici.

Avrebbero dovuto realizzare un impianto per lavorare 35mila tonnellate di rottami l’anno, pari a cento tir al mese, da trasformare in lingotti di stagno, zinco ed altri materiali non ferrosi da vendere sul mercato per un fatturato previsto di 33milioni 650mila euro l’anno, più gli introiti dell’energia elettrica prodotta, in 7 mega watt, da mettere in rete. E ovviamente le riassunzioni dei lavoratori.

Dopo qualche anno e vari filoni di indagine della Guardia di Finanza dell’Aquila, nell’ambito di un procedimento avviato dalla Procura della Repubblica, la Corte dei Conti ha sancito la responsabilità amministrativa e contabile della società che dovrà ora restituire i primi due acconti ricevuti, pari a 4mln 842mila euro, a Invitalia spa, che gli aveva accordato il contributo pubblico e che pare abbia revocato l’intero sostegno perché quei fondi, nonostante le attestazioni, non sono stati spesi per il polo elettronico, e per quello straccio di piano industriale presentato per ottenere i fondi, al contrario, il collegio giudicante composto dal presidente Mario Nispi Landi e dai giudici Paola Lo Giudice e Gerardo de Marco, convenendo con la pubblica accusa e la relazione dettagliata della Guardia di Finanza, ha ravvisato, motivando la condanna, la sussistenza di macroscopiche deviazioni rispetto ai più elementari canoni di comportamento di chi si avvale di risorse pubbliche per lo sviluppo di un progetto industriale condiviso con l’amministrazione, si legge nella sentenza.

Un’importante chiave di lettura sta nel documento manoscritto sequestrato all’allora socio Pezzoni che denota un’attenzione precipuamente orientata alla definizione dei ruoli e dei rapporti di forza tra i tre fondatori, Pezzoni, Baldarelli e Shankar più che di piani industriali e di progettualità, le logiche sottese sono quelle delle “entrature” e dei canali di accesso ai fondi pubblici. L’atteggiamento che emerge dal manoscritto è tendente più alla speculazione finanziaria che all’iniziativa imprenditoriale: avviare l’attività, incassare prima possibile i contributi pubblici, realizzare il margine desiderato e nulla più, scrivono i giudici richiamando proprio quanto la Guardia di Finanza ha relazionato nell’informativa agli atti.

Massimo Cialente

Le telefonate intercettate, le acquisizioni documentali e le perquisizioni eseguite negli immobili dei tre soci hanno consentito di rilevare come tutto il progetto sia stato incentrato sul finanziamento pubblico di circa 10mln di euro, il cui conseguimento è divenuto nel tempo quasi un’ossessione per Shankar Ravi Santeshivara e Baldarelli Francesco, prosegue la sentenza, ma prima ancora di ritornare sull’atto di 40 pagine, e ci torneremo, vale la pena chiedersi come mai nessuno, nessun amministratore comunale, anche tra i più attenti alla gestione della cosa pubblica, chiede conto di una condanna così dura, e della fine dei circa 5mln di euro, una condanna erariale che chiama in causa anche la passata amministrazione, se è vero com’è vero che la Guardia di Finanza, sottoscrive a fine indagini che per far rientrare anche la Accord Phoenix nel novero delle imprese per le quali erano previsti gli incentivi, si sono mosse le massime autorità politiche locali, infatti la Accord Phoenix ha potuto presentare il proprio progetto solo grazie alla modifica apportata dalla delibera Cipe 46/2013 del 19/07/2013 che modificava il punto 1.5 della delibera Cipe 135/2012.

Eppure nessuno pare abbia fretta di far luce sulla vicenda, nonostante tutti sappiamo da anni che la compagine Accord Phoenix spa era tutt’altro che chiara, che i tre soci non avevano le competenze per trattare rifiuti speciali e neanche le garanzie economico finanziarie per poter accedere a un finanziamento così cospicuo.

 

*di Rosario il Libertario