Secondo i dati forniti dalla piattaforma Rendis di Ispra, a livello nazionale, in Italia, dal 1999 al 2022, sono stati spesi per la prevenzione del rischio idrogeologico ben 10,57 miliardi di euro per finanziare 11.204 progetti e opere per mitigare il rischio. Di questi ultimi, il 43% (4mila 834 su 11mila 204) sono state opere terminate. Per Legambiente, a fronte di un investimento di oltre 10 miliardi di euro e quasi 5mila opere realizzate a livello nazionale, il rischio nel territorio non è diminuito.
Le risorse stanziate sono state spese in modo poco efficace per tre motivi:
Le opere sono state meno efficaci rispetto a quanto previsto e progettato perché molte di queste hanno risposto solo alla logica dell’intervento difensivo, “puntuale”, che ha provato a risolvere il problema locale senza considerare ciò che poteva accadere a monte o a valle dell’intervento. Inoltre, la maggior parte delle opere realizzate è stato rigido, infrastrutturale, con l’effetto che ha ingessato ancor di più un territorio fragile che invece andava reso più resiliente e flessibile al verificarsi di eventi impattanti.
Gli eventi impattanti vanno inseriti nel più ampio contesto del cambiamento climatico, che sta alterando la distribuzione delle piogge e questo sta incidendo molto sugli effetti che tali variazioni (a cui dovremo abituarci nell’immediato futuro attraverso politiche di adattamento dei territori e delle attività antropiche) hanno sul suolo.
Al di là delle opere realizzate, più o meno efficaci come detto precedentemente, il problema è che è mancata negli ultimi decenni una seria politica di governance del territorio, a partire dall’azzeramento del consumo di suolo.
In questi giorni difficili per l’Emilia-Romagna e le Marche colpite da una violenta alluvione, Legambiente esprime la sua vicinanza e solidarietà, alle famiglie delle vittime, agli abitanti delle aree colpite e alle squadre di soccorso e di pronto intervento che, senza sosta, stanno aiutando la popolazione. Quello a cui stiamo assistendo è l’altra faccia della crisi climatica che si ripercuote sui territori con eventi estremi sempre più intensi, con rischi per la vita delle persone e impatti sull’ambiente e sull’economia. E l’Italia ancora una volta si dimostra impreparata di fronte alla crisi climatica e agli eventi estremi, scrivono in una nota gli attivisti.
Per questo Legambiente lancia un appello al Governo indicando i 5 interventi da mettere in campo e che devono essere al centro di una chiara ed efficace strategia di prevenzione: 1) approvare definitivamente il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, ancora in standby dopo la fase di VAS (valutazione ambientale strategica) avviata dal governo alla fine dello scorso anno dopo la tragedia di Ischia; 2) stanziare le adeguate risorse economiche per attuarlo; 3) rafforzare la governance del territorio, affidando un ruolo centrale alle autorità di distretto in merito al monitoraggio e alla gestione del territorio; 4) approvare una legge sullo stop al consumo di suolo che il paese aspetta da 11 anni: la proposta di legge, il cui iter legislativo è iniziato nel 2012, è bloccata in Parlamento dal 2016, quando fu approvata dalla Camera dei deputati, prevedendo di arrivare a quota zero, cioè a non cementificare un metro quadro in più, entro il 2050; 5) promuovere efficaci politiche territoriali di prevenzione e campagne di informazione di convivenza con il rischio per evitare comportamenti che mettono a repentaglio la vita delle persone.
Le immagini dell’alluvione che sta colpendo Emilia-Romagna e Marche ci ricordano l’urgenza di intervenire per tempo. Continuiamo a rincorrere le emergenze senza una strategia di prevenzione, che ci permetterebbe di risparmiare il 75% delle risorse economiche spese per i danni provocati da eventi estremi, alluvioni, piogge e frane. Gli strumenti ed i soggetti competenti ci sono. Le conoscenze anche. Serve la volontà politica che è mancata finora, rileva il presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani.
Secondo dati Ispra: l’8,7% del territorio è classificato a pericolosità da frana elevata e molto elevata; il 15,4% invece è classificato a pericolosità media ed elevata alle alluvioni. Numeri che si riflettono sulla popolazione a rischio. Sono infatti 6,8 milioni i cittadini a rischio alluvione e 1,3 milioni quelli a rischio frana.
Nel nostro Paese, spiega Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente, il rischio idrogeologico è noto, mappato e ci sono le conoscenze giuste per intervenire ma continua a non essere affrontato e gestito in maniera adeguata, anche in quelle aree in cui eventi analoghi si sono già verificati come ad esempio le Marche colpite violentemente anche lo scorso settembre e negli anni passati. Inoltre, bisogna considerare che i terreni si sono inariditi e induriti dopo mesi di siccità, e questo fattore li ha resi meno permeabili ad assorbire una parte delle precipitazioni che si sono riversate in questi giorni. I due fenomeni vanno trattati in maniera integrata per poter sviluppare soluzioni efficaci. Servono anche più politiche territoriali di prevenzione e campagne informative sulla convivenza con il rischio per evitare azioni che mettono a repentaglio la vita dei cittadini.